Oggi sono trascorsi 39 anni dall’attentato a Papa Wojtyla.
13 maggio 1981, mercoledì, sono le diciassette e diciannove minuti, Papa Giovanni Paolo II è da poco uscito per l’incontro settimanale in piazza con i fedeli quando si accascia sulla papa mobile , che accelera e sparisce.
Sul momento non si riesce a capire quanti, ma alcuni colpi di pistola sono stati esplosi. Il mondo intero segue con ansia le notizie sulle sorti del Santo Padre.
La scena rimasta nella memoria di chi ha vissuto quegli istanti, ma anche di coloro che l’hanno ascoltata negli anni a venire.
L’attenzione generale, fu per giorni spostata sulla salute del Papa, piuttosto che sui retroscena politici che si celavano dietro il gesto.
Il Santo Padre fu colpito due volte sparati da un sicario dei “Lupi Grigi” un turco di nome fu colpito due volte dal sicario dei “lupi grigi” turco, Ali Agca. Aveva da poco ridata alla madre una bambina che, come suo solito, aveva salutato deponendole un bacio sul capo.
La pallottola colpì addome, colon e intestino tenue, ma il Papa riuscì “miracolosamente” dopo giorni frenetici di ricovero e operazioni, a salvarsi.
I mesi successivi, furono un’ accumularsi di complicazioni a cui si seguì una lunga convalescenza, che restituì ai suoi fedeli il vicario di Cristo il 30 settembre successivo.
Nei mesi successivi, Papa Giovanni Paolo II , rivivendo gli avvenimenti di quel pomeriggio dichiarò: «Potrei dimenticare che l’evento in Piazza San Pietro ha avuto luogo nel giorno e nel momento in cui la prima apparizione della madre di Cristo per i pastori è stato ricordato per 60 anni a Fatima, Portogallo? Ma in tutto quello che mi è successo quello stesso giorno, ho sentito che la straordinaria protezione materna e attenta si rivelò essere più forte del proiettile mortale».
Il 13 maggio, è infatti il giorno in cui la Chiesa Cattolica celebra la prima apparizione ai tre pastorelli portoghesi della Madonna di Fatima a cui lo stesso Wojtyla era da sempre molto .
Gli stessi medici non seppero spiegarsi come la pallottola usata per compiere l’attentato ai danni del Papa non abbia mai intaccato gli organi vitali, per gli scettici una casualità, una mano divina per chi crede.
Negli anni è stato possibile ricostruire, gli avvenimenti subito successivi allo sparo grazie ai medici e gli infermieri della guardia medica vaticana.
Le condizioni del pontefice vennero valutate in quella sede per decidere in quale ospedale condurlo. Si perse qualche attimo a causa di una delle ambulanze, la più attrezzata, bloccata sotto il colonnato, questo richiese un ennesimo spostamento da un’ambulanza all’altra. L’infermiere che assistette il Papa nel trasferimento riferì, che pur restando in silenzio non perse mai conoscenza.
Il viaggio sino all’ospedale non fu semplice, né per le condizioni di salute del pontefice ne per il tragitto in sé. Accadde, infatti che mentre si cercava si fare una flebo al pontefice, che stava avendo una crisi pressoria, l’autista dell’autombulanza fu costretto ad una brusca sterzata andando ad urtare un marciapiede. Nulla di grave accade al Papa, ma le controversie non erano finite.
Ci fu un attimo di fraintendimento tra i medici dei vari piani, gli operatori sanitari sull’ambulanza sapevano di dover condurre il Santo Padre al reparto di animazione, ma era invece atteso al non piano del policlinico Gemelli, dove è ubicata la sala operatoria. Il tutto, probabilmente, esasperato dal timore che Giovanni Paolo II potesse morire, in seguito a quell’attentato.
Ma cosa portò agli avvenimenti di quel pomeriggio?
Molte ipotesi furono fatte sul perché Ali Agca avesse compiuto un gesto simile. L’unica risposta, in un inchiesta durata vent’anni è che non vi furono mandanti a tale attentato, i responsabili non furono né i bulgari, né il Kgb né la Cia, e tantomeno il Vaticano, come inizialmente era stato ipotizzato. A ideare, concepire e compiere l’attentato a Wojtyla furono infatti i Lupi grigi turchi, ultranazionalisti, filo islamici, contrari all’Occidente e al capo della religione che per essi lo rappresenta. E lo fecero per ragioni ben precise. I lupi grigi, allontanati dalla Turchia, dopo il golpe del 1980, dove erano stati accanto ai generali che una volta usati li cacciarono, furono presi da un sentimento di rivincita e decisero di fare attentati a grandi personalità politiche mondiali, la Regina d’Inghilterra, il segretario dell’Onu Kurt Waldheim, la presidente del Parlamento europeo Simone Weil e il Papa, naturalmente, che incarnava tutto il contrario del pensiero ultranazionalista dei Lupi grigi. L’idea fu dello stesso Ali e incontrò il favore del gruppo che in brevissimo tempo decise di finanziarla.
Papa Giovanni Paolo II, dopo pochi mesi dall’attentato volle recarsi a Rebibbia, carcere di Roma, per incontrare il suo killer.
Voleva parlare con lui e donargli il suo perdono, così come si fa con un fratello.
Non è mai venuto alla luce, cosa i due si fossero detti, ma come lo stesso Wojtyla raccontò ad Idro Montanelli, la cosa che più tormentava il terrorista non era l’aver compiuto un attentato ai danni del papa, ma il fatto di non averlo ucciso, nonostante le sue abilità di tiratore. Trovava inconcepibile dover ammettere che ci fosse stato Qualcuno o Qualcosa che aveva mandato a monte i suoi piani.
La convinzione del pontefice che se una mano aveva sparato ce ne fosse stata un’altra a deviare la pallottola, unitamente alla data significativa del 13 maggio ha fatto si che uno di quei proiettili fosse incastonato nella corona della Statua della Madonna di Fatima.