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Botte da orbi, gli Usa cercano lo scontro con la Cina

Botte da orbi ma non si arriva ancora alla rissa. L’amministrazione di Donald Trump attacca la Cina sul Covid: dazi ancora in piedi e nessun negoziato in vista.

Botte da orbi, gli Usa cercano lo scontro con la Cina

La politica internazionale non è diversa dalla politica interna. È fatta principalmente di chiacchiericcio, sceneggiate (al limite del ridicolo e dell’amor proprio) e di azioni mirate. Quando il 4 maggio l’ex capo della Cia, ora Segretario di Stato, Mike Pompeo, aveva annunciato le novità, il mondo non era rimasto sorpreso.

“Abbiamo le prove – spiegava – che il virus proviene da un laboratorio cinese”. Mossa azzardata ma che seguiva alle teorie del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che continuamente accusa la Cina. È bene fare, però, molta chiarezza e guardare ai fatti. Virologi, illustri scienziati e chi più ne ha più ne metta, hanno a più riprese, anche dopo le parole di Pompeo, difeso la loro posizione iniziale: il virus è naturale. Un salto di specie, nulla di più, e non ci sono tracce di modifiche genetiche.

Gli Usa accusano la Cina che a sua volta si dice indignata e risponde, per quanto possibile, a tono, pretendendo le scuse. Sembra una rissa da bar, e raccontata così pare ancora più caotica. È bene mettere un punto e ricominciare da capo, partendo da un po’ più lontano.

Stati Uniti e Cina: dalla crisi coreana al covid-19

Era il 2017 (sono passati 3 anni), esattamente tra il 15 ed il 19 marzo, quando da Pyongyang (capitale della Corea del Nord) Kim Jong-un faceva la voce grossa. Esercitazioni, prove balistiche per missili a medio e lungo raggio, esplosioni nel mar del Giappone. Tutto faceva pensare che una guerra fosse inevitabile, soprattutto quando un sommergibile americano stanziò in Corea del Sud. La crisi coreana mostrò al mondo, e continua a mostrarlo oggi, che l’America trovava nell’Oriente un grande nemico. La Cina, come sempre, si dimostrava cauta e poco interessata a ciò che accadeva in Corea del Nord, almeno di facciata. In realtà, il regime cinese guardava con favore alla nascita della potenza coreana e lo stesso faceva la Russia.

I rapporti tra le potenze sono complessi, e la reazione è ciò che conta. In seguito alla risoluzione pacifica (un anno dopo) dell’ostilità con la Corea del Nord, il Presidente Trump vuole togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Attacca attraverso i media la Cina ed il regime cinese, la loro economia dannosa per quella americana, ed impone dazi sulle merci cinesi. Inizia la guerra commerciale con la Cina che fa lo stesso. L’allora segretario di Stato, Rex Tillerson, si dice contrario a questa politica del presidente. Trump non se lo fa ripetere nemmeno la terza volta e lo mette alla porta offrendo il ruolo a Mike Pompeo.

Gli Usa passano il 13 marzo 2018 da un politico come Tillerson ad un ex direttore della Cia. Uno che non bada molto alla forma e soprattutto è abituato ad obbedire. Si mette in moto la macchina del fango. Quella stessa che portò, e tutti lo ricordano, alla famosa guerra in Iraq. Anche all’epoca, era il 2003 (ed era sempre marzo) quando gli americani si dissero sicuri del possesso e dell’utilizzo di armi chimiche del dittatore Saddam Hussein. Ebbene, le armi non furono mai trovate. Era un pretesto, e la cosa più drammatica è che sta avvenendo ancora oggi.

Tornando ai giorni nostri, non è ancora finito il tempo delle botte da orbi. La fase rissosa non si risolverà in breve periodo, ma la paura è che possa portare ad una nuova Guerra Fredda (nella migliore delle ipotesi s’intende).