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Lo scultore Jago: un grande artista nell’era pandemica

Da un po’ di tempo, non si fa che parlare di lui: lo scultore Jago, innovativa personalità artistica. In tempi recenti, egli ha lasciato esterrefatta l’intera comunità napoletana.

Qualche tempo fa, l’artista ha disposto una piccola scultura in marmo raffigurante un bambino in fasce, proprio a Piazza Plebiscito, centro vitale di Napoli.

Soffermiamoci dunque su questo personaggio, analizziamone vita, pensiero e opere.

Biografia

Jacopo Cardillo, nato a Frosinone, nel 1987, inizia, sin dall’età di quattordici anni, a formarsi in campo artistico.

Il suo percorso d’istruzione ha luogo, dapprima, presso un liceo artistico e prosegue quando Jacopo si decide a frequentare l’Accademia delle belle arti di Frosinone.

I successi non tardano ad arrivare e a 24 anni, è convocato da Sgarbi alla cinquantaquattresima mostra della Biennale di Venezia.

La sua carriera, già nel corso della fase iniziale, è costellata di successi: nel 2012, riceve la medaglia del Pontificato per aver realizzato il busto di Papa Benedetto XVI.

All’estero, si fa conoscere, ottenendo, nel 2013, un premio al Galà dell’Art di Montecarlo.

Qualche anno più tardi, nel 2016, è pronto per allestire la sua prima vera esposizione, in cui presenta una serie di marmi, intitolata Memorie.

Le opere dell’artista, eseguite con l’utilizzo del pregiato marmo di Carrara, sono state ubicate, per l’occasione, a Roma, all’interno della cripta della basilica dei Santi XII apostoli.

Le opere

Il giovane artista non nega di essersi ispirato, per la composizione delle sue ultime opere, ai capolavori siti nella Cappella di San Severo.

Cardillo ha preso come modello il Sanmartino che ha scolpito il Cristo velato, per elaborare un’opera simile, il cui protagonista non è più il figlio di Dio agonizzante, ma un neonato, il figlio dell’umanità.

Come già sopracitato, il soggetto è rievocato anche nella piccola scultura donata alla città di Napoli.

In entrambe le sculture, il bimbo è solo, lasciato a se stesso, comunica freddezza e angoscia. La tenerezza del tema dell’infanzia si combina a una tensione che pare essere proiettata verso il futuro.

Che lo scultore Jago ci abbia voluto comunicare l’isolamento e le catene a cui siamo costretti durante questo tetro periodo?

Il suo scopo è un invito al pensiero all’umanità del futuro?

Che ne sarà di noi e dei nostri figli, se continuiamo ad agire con così poca cautela?