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Giacomo Leopardi: pilastro della letteratura italiana

Giacomo Leopardi, pilastro della letteratura italiana è poeta, scrittore e filosofo, un astro solitario. Nasce a Recanati, nello Stato Pontificio il 29 giugno del 1798 da una famiglia nobile, ma in decadenza. Il padre Monaldo lo affida a precettori ecclesiastici, dove si rivelerà un prodigio.

Leopardi ebbe un rapporto piuttosto difficile con la madre Adelaide Antici e il padre non si accorse del suo disagio,  spesso si rintanato nella grande biblioteca paterna, solo, a studiare. È l’unica possibilità di evasione, di sfogo, di consolazione. Da solo impara alla perfezione il greco, il latino, l’ebraico, il francese, si dedica alla filologia, traduce Omero, Esiodo, Virgilio, Orazio. Ma quegli anni lo segnano nel corpo e nello spirito, infatti ha gravi problemi alla schiena e alla vista.

Nell’ottobre del 1833, dopo aver soggiornato a Firenze,  Leopardi si trasferisce a Napoli insieme all’amico Ranieri, ma tra il 1836 e il 1837 sono costretti ad abbandonare Napoli per l’epidemia di colera e vanno a Torre del Greco alle falde del Vesuvio. Durante la permanenza, Leopardi compone due poesie straordinarie: La ginestra o il fiore del deserto nel 1836 e Il tramonto della luna l’anno seguente. Sono opere di grande sapienza e bellezza, e sono anche il suo testamento poetico e spirituale. A Napoli, nel 14 giugno del 1837, Giacomo Leopardi si spegne tra le braccia del suo caro amico Ranieri.

Ciò che lo rende unico nella letteratura italiana è il suo pensiero che si basa su una meditazione sull’infelicità dell’uomo, la quale nasce dall’insoddisfazione della ricerca del piacere, ma visto che la sa ricerca si estende verso un piacere infinito e non un piacere sensibile e materiale.

La natura che in questa prima fase è concepita da Leopardi come madre benigna, ha permesso all’uomo il “benefici il dell’immaginazione. Per questo motivo gli uomini primitivi ma anche antichi Greci e Romani, più vicini alla natura, erano tendenzialmente felici (o forse illusi). Il progresso della civiltà, ha fatto sì che l’uomo si allontanasse da una condizione privilegiata. L’uomo è sostanzialmente infelice e per questo si allontana dalla vita vera e propria, pensando in negativo. Questa fase del pensiero leopardiano è definita pessimismo storico, ovvero la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico, di una decadenza e di un allontanamento progressivo da una condizione originaria di felicità.

Questa concezione di natura benigna e provvidenziale entra in crisi, infatti, è la natura che ha messo nell’uomo quel desiderio di felicità infinita, senza dargli mezzi per soddisfarlo. Quindi, Leopardi concepisce la natura non più come madre amorosa, ma come meccanismo crudele, in cui la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale. Dunque, l’uomo non è che vittima innocente della sua crudeltà. Questa fase è chiamata pessimismo cosmico.