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‘O schiattamuorto: il noto becchino della tradizione napoletana

La magica città di Napoli… ricca di intrighi e di misteri, impregnata di una cultura magnifica e gloriosa. Contemporaneamente, però, si tratta di un sapere leggendario, costellato da elementi sovrannaturali. In questo centro urbano, morte e vita si intrecciano per generare storie incredibili, al confine tra il magico e il terreno. Esiste, o meglio esisteva in particolare nel passato, un personaggio appeso sul filo di un rasoio tra la morte e la vita, l’oscurità e la luce, tra il raccapricciante e il mitico: il cosiddetto “schiattamuorto“, o il meglio noto “becchino” di Napoli.

Le origini del termine napoletano

Le origini del termine sembrano essere avvolte dal mistero, non si conosce alla perfezione la derivazione del vocabolo napoletano. Per la maggior parte esso deriva dalla consuetudine dei becchini di creare dei pori nei corpi degli individui deceduti per verificare se fossero realmente morti. Per altri, invece, il termine deriva dal verbo “schiattare, dal napoletano “spremere“: quest’ultimo simboleggiava un’antica usanza, risalente al Seicento, di schiacciare i cadaveri per riempire nelle bare il numero più alto possibile o per far perdere ai corpi tutti i liquidi interni. Da qui, poi, è stata creata l’esilarante espressione “pozza schiattà“.

Secondo altri studiosi della lingua, schiattamuorto potrebbe derivare dalla parola francese “croquemort“, fusione tra “croque“, “divora“, e “mort“, “morte“. Il vocabolo è associato agli animali i quali si nutrono di corpi morti, le cosiddette “carogne”. Un altro nome, atto a classificare questa professione antica, è “beccamorto“, risalente ai tempi del Medioevo, in correlazione con una leggenda popolare. In principio, si era soliti, infatti, chiamare il dottore per verificare se un uomo fosse realmente deceduto. Come? Il medico decideva di mordergli una parte del piede, usualmente l’alluce. La sepoltura era la conseguenza naturale, se il corpo non reagiva a nessuna tipologia di stimolo.

Ma chi era ‘o schiattamuorto?

Nell’antichità ‘o schiattamuorto non era una semplice professione perché non trascorreva il tempo soltanto a collocare i cadaveri nelle rispettive tombe. Egli, difatti, si occupava anche della sistemazione dei corpi, prima di farli vedere alla famiglia. Il becchino era uno dei mestieri più rispettati dalla città di Napoli, era molto diffuso ed aveva la sua valenza. Il popolo napoletano confidava molto in questa figura, perché riponeva nelle sue mani il “destino” dei proprio cari deceduti.

Oltre che stimato, ‘o schiattamuorto era anche considerato portatore di sfortuna; numerosi erano i riti scaramantici, effettuati al suo passaggio. Nella smorfia napoletana, infatti, simboleggia il timore della morte, profeta di atroci e gravi sventure. Questa figura è stata un modello per tanti scrittori ed artisti, tra cui il grande Antonio De Curtis, meglio noto con il nome di Totò. Quest’ultimo dedicò una poesia a questa personalità inquietante, divenuta anche illustre per le qualità del comico partenopeo.