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Putridarium: storia e testimonianze di antiche sepolture

Il Putridarium è un luogo provvisorio dove si posizionavano i cadaveri in attesa di decomposizione. Il nome significa “purificazione”, infatti, proprio il perdere forma dei cadaveri, giorno dopo giorno, rappresentava uno stato (macabro) che conduceva il defunto, solitamente un frate o una suora, nell’aldilà. 

Putridarium: un’usanza fulcro della tradizione campana

La funzione del Putridarium era quella di  invogliare a riflettere sulla fragilità del corpo e sull’importanza di curare e nutrire lo spirito, al di là di ogni aspetto materiale. 

In Italia l’usanza putridaria era diffusa soprattutto al Meridione, in Campania ad esempio, dove sono ancora visibili le cosiddette “nicchie di scolo” che formavano il Putridario vero e proprio.

Una celebre quanto macabra testimonianza di “scolatoio”, si trova ad Ischia, e precisamente sul Castello Aragonese. E nonostante quanto si possa pensare, attira ogni anno tantissimi turisti e anche curiosi.

All’interno del Maniero, situato ad Ischia Ponte e fondato nel 474 a.C. è presente il “Convento delle Clarisse” voluto da Beatrice Quadra, che vi si stabilì con circa quaranta suore di nobili origini.

In uno dei seminterrati del Convento, si trova il Putridarium; esso si compone di varie sedie in pietra, sulle quali era posizionato, come se fosse seduto, il corpo della defunta. Ogni postazione era dotata di un ampio foro, il cosiddetto colatoio, nel quale potevano defluire i tessuti in decomposizione.

Naturalmente tale processo aveva una durata particolarmente lunga, e terminava quando non rimaneva altro che le ossa delle defunte, raccolte poi in un ossario.

Scolatoio: un invito alla riflessione

Dal punto di vista puramente metaforico, è opportuno sottolineare che, la sedia, rappresenta il ricongiungersi con sé stessi, lontano dagli impulsi o dalle distrazioni quotidiane. Un momento da dedicare alla propria persona. 

Lo scolatoio simboleggia invece la purificazione vera e propria, l’eliminazione di tutto ciò che non serve, e dunque, la pulizia del corpo e della carne.

Le ossa infine, sono testimonianza di ciò che l’uomo è, di quanto resterà un giorno, dopo la morte.

Per quanto concerne lo “scolatoio” di Ischia, le monache vi si recavano ogni giorno in preghiera, all’interno di quello che può essere definito un “sito temporaneo”, una sorta di purgatorio in terra. 

Il Cimitero delle Clarisse di Ischia venne chiuso nel 1810, con un decreto emanato da Gioacchino Murat, re di Napoli sotto Napoleone. I cadaveri delle suore clarisse furono trasferiti nel cimitero di Ischia.

In realtà, la macabra usanza, tipica del Meridione, fu abolita nel 1900, per ovvie ragioni di tipo sanitario. L’ambiente che fungeva da Putridario, infatti, estremamente piccolo, cieco, era naturalmente poco salubre e piuttosto contaminato, tant’è vero che spesso le monache si ammalavano a causa delle ore in preghiera spese al suo interno. 

Conservatosi nel corso del tempo, oggi il Putridarium è visitabile all’interno del Castello Aragonese; simbolicamente, esso riveste una notevole importanza, soprattutto nell’ambito della “doppia sepoltura”, concetto chiave ancora vivo nella tradizione napoletana.

La Campania, infatti, oltre alla testimonianza più famosa, quella dello scolatoio presente sul Castello Aragonese, racchiude in sé, ancora oggi, molte testimonianze di queste sconvolgenti pratiche di sepoltura. A Napoli, menzioniamo la Chiesa del “munacone” alla Sanità, sant’Agostino alla Zecca a Forcella. 

Ricordiamo infine, che al Putridarium si rifà anche il celebre, quanto non ben augurante, detto: “Puozze sculà!”, ossia Possa tu morire e lasciato scolare.