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Marotta, San Gennaro e Napoli

Giuseppe Marotta, autore poligrafo dalla formazione autodidatta, è una voce che da ancora oggi lascia parlare la critica per la sue visione di Napoli, a metà tra la napoletaneria e la napoletanità.

In occasione della ristampa prevista a settembre da parte della Alessandro Polidoro Editore del romanzo di Giuseppe Marotta “San Gennaro non dice mai no”, edito per la prima volta nel clima neorealista del 1948, viene consono riproporre nuovamente alcune caratteristiche e considerazioni dell’opera narrativa successiva al microcosmo partenopeo tracciato ne “L’oro di Napoli”.

Marotta tra la “Borsa nera” dell’immediato secondo dopoguerra napoletano e il ritorno nel “vascio”, personalmente abitato e conosciuto, appone attraverso il racconto omodiegetico intervallato da altri interlocutori il ritorno alla natia “Pathenope” dalla Milano laboriosa, delineandone un quadro fatto di miseria e affarismo, conditi dalla sfrenatezza piazzaiola, piedigrottesca, vista quale forma di sopravvivenza alle forze della modernità e alla precarietà socioeconomica.

La stessa intitolazione è una sfumatura di quella corte dei miracoli, su cui giganteggia il nome del santo patrono, San Gennaro, che funge da fasi di stasi e attesa speranzosa mentre Napoli, spogliata dall’ apparente ricchezza del contrabbando ritorna a tacere nel vicolo buio, in maniera antitetica al di Giacomo.

L’attesa speranzosa delineata da Marotta nella sua narrazione vuol essere in primis il romanzo della sopravvivenza, prendendo ad emulazione un antico proverbio che ha come effige la maschera della pulcinelleria, nonostante non sappia spogliarsi del fondo folklorico.

Parimenti alla Napoli Milionaria di Eduardo de Filippo, anche il San Gennaro romanesco di Marotta venne tacciato di napoletaneria da parte di uno dei massimi esponenti della letteratura novecentesca napoletana, Raffaele La Capria all’ interno dell’opera “L’armonia perduta”.

Ciononostante, La Capria nel riferirsi a Marotta tenne sempre presente la grandezza della sua verve descrittiva, che, anche se solidamente arrancata al fondo folklorico partenopeo vicino alla Serao e Mastriani, riesce con un capovolgimento stilistico umoristico a demistificare la fame e la miseria che padroneggiano nelle vicende quotidiane del Mezzogiorno campano, direttamente conosciute allo stesso Marotta uomo e poi autore.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."