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Marina Abramovic e la performance a Napoli

Le performance di Marina Abramovic hanno sempre suscitato forti reazioni nel suo pubblico. Il totale coinvolgimento dell’artista è in linea con la sua volontà di diventare un tutt’uno con la sua arte in una costante sfida all’arte tradizionale. Al centro delle sue rappresentazioni i grandi protagonisti sono i sentimenti e le emozioni umane, dove il corpo è un mezzo espressivo, un vero e proprio supporto artistico che sostituisce la tela. Tra le sue performance più note vi sono i Rhythm, avvenuti tra il 1973 e il 1974: si tratta di una serie di rappresentazioni abbastanza estreme in cui l’artista e il suo corpo sono totalmente coinvolti. Uno dei Rhythm più sconvolgente è proprio il Rhythm 0 che si è tenuto a Napoli nel 1974 alla Galleria Studio Morra, una performance che è riuscita a evidenziare l’oscura malignità dell’animo umano.

Nella seconda metà del Novecento, diversi sono stati gli studi e gli esperimenti da parte di psicologi e sociologi volti a dimostrare quanto l’uomo fosse naturalmente predisposto a compiere atti crudeli sui propri simili, quando ne ha la possibilità. Nel 1971 Philip Zimbardo, con il famoso esperimento nel carcere di Stanford, dimostrò che se l’individuo ha la possibilità di prevaricare sull’altro, non esita a farlo, anche a costo di utilizzare la violenza. Anche l’arte indagò in tal senso nel corso degli anni ’70 al fine di scavare nella miseria umana, nella sua spontanea inclinazione alla prevaricazione. L’esperimento artistico di Marina Abramovic si inserisce proprio in questo contesto.

Lo svolgimento di Rhythm 0 era molto semplice: l’artista doveva rimanere completamente ferma come se fosse un manichino, per sei ore dalle 20 alle 2 di notte; era stato predisposto nella sala un tavolo con sopra 72 oggetti molto diversi ed era stato scritto un messaggio per spiegare l’unica regola:

Ci sono 72 elementi sul tavolo e si possono usare liberamente su di me. Premessa: io sono un oggetto. Durante questo periodo, mi prendo la piena responsabilità di ciò che accade.”

Gli oggetti presenti sul tavolo erano sia oggetti finalizzati a procurare piacere psicologico e sensoriale come fiori, piume, acqua, pane, un profumo, una rosa, del miele e del vino, sia oggetti più pericolosi o addirittura letali come delle catene, un coltello, una frusta e addirittura una pistola con un proiettile. Inoltre, vi erano anche oggetti più neutri come una polaroid e della vernice colorata.

All’inizio gli spettatori erano perplessi e imbarazzati quindi si limitarono ad utilizzare oggetti inoffensivi e a toccarla. Uno di loro le diede addirittura un bacio e le lasciò delle rose sul tavolo. Tuttavia dopo un po’ la curiosità iniziò a crescere e gli atteggiamenti nei confronti dell’artista “reificata” mutarono. Vennero usate delle lamette per stracciarle gli abiti e per ferirla, alcuni uomini le succhiarono il sangue dai tagli, nonostante altri tentassero di proteggerla. Diverse persone però si lasciarono andare ai loro istinti più violenti fino ad arrivare al punto di legare Marina Abramovich e a palparla. Alcuni le scrissero la parola End sulla fronte con un rossetto e altri ancora la fotografarono nuda. “Sono stata violentata. Hanno tagliato i miei vestiti e sono stata parzialmente denudata, mi hanno frustata con le spine di una rosa sul ventre” queste le parole dell’artista che ricorda nitidamente l’esperienza. L’apice della crudeltà venne raggiunto quando qualcuno prese la pistola carica e la mise in mano all’artista, puntandogliela contro la gola: a quel punto intervenne subito il gallerista che gettò la pistola dalla finestra, temendo che Marina Abramovic potesse perdere la vita.

Quello che ho imparato è che se ti affidi e ti abbandoni al pubblico, può arrivare a ucciderti. Mi sono sentita davvero violata, si è creata un’atmosfera aggressiva. Dopo sei ore, come pianificato, mi alzai e iniziai a camminare verso la gente. Tutti scapparono via per sfuggire il confronto vero e proprio. È stata la pièce più pesante che abbia mai fatto, perché ero totalmente fuori controllo”. Dopo le sei ore, l’Abramovich lascia la sua posizione e cerca di avvicinarsi agli spettatori-carnefici, ma nessuno riesce a guardarla in viso: ora che l’ “oggetto” si è animato gli spettatori scoprono la vergogna.

Era proprio questo lo scopo dell’artista: dimostrare quanto la violenza possa intensificarsi e diventare estrema in poco tempo, quando le circostanze sono favorevoli, ossia quando si è in gruppo e si ha davanti una persona più debole. Marina Abramovic con la sua performance ha mostrato l’origine di tutti quei casi di cronaca basati sulla violenza: stupri, atti di bullismo e violenza di genere che tolgono il sonno, tutte quelle situazioni in cui chi aggredisce si sente in una posizione di forza rispetto a coloro che subiscono. Ecco come la “Grandmother of performance art”, come si è definita lei stessa, ha spalancato una finestra su una delle parti più oscure dell’animo umano.