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Freaks Out, la perdita dell’anima e dell’arte nella guerra

Con Freaks out il cinema italiano mostra e dimostra di sapere ancora riflettere in maniera introspettiva, toccando i temi focali del presente guardando al passato.

L’ultima fatica dietro la macchina da presa di Gabriele Maietti, papà del cult “Lo chiamavano Jeeg-Robot”,  guarda al passato recente dell’occupazione nazista del 1943.

La Roma “città aperta” fa da sfondo entro cui viene filtrata dalle arti circense di fenomeni da baraccone di “Israel”, pronta ad animare nell’orrore della guerra che schiaccia l’imaginifico volo dalla realtà, da cui cercano di liberarsi concretamente.

I personaggi di Mattia, Cencio, Fulvio e Mario vivono la perdita del self e della propria rete sociale in un clima crescente, laddove all’avanzare della disfatta italiana, resa emblematica dalla morte dell’ignoto proprietario del circo segue il processo di coscienza di una realtà disumanizzata, quale l’occupazione nazista.

Se il circense era emblema della caduta dell’aura dell’intellettuale e dell’artista tra 800′ e 900′, adesso è figura del dramma senza pianto dinanzi ai grandi conflitti della storia.

La fuga in Freaks out è esodo biblico e comico dall’incombere del male storico prodotto dall’uomo incapace di dimenticare i vincoli assiologici alla base della sua esistenza.

Freaks out è un Bildungroman capovolto, perché la maturità di questi personaggi emerge in rapporto distopico rispetto all’età.

In Freaks out, ritorna con Maietti anche Claudio Santamaria, che dopo le laude per “Romanzo Criminale” di Michele Placido e per “Jeeg-Robot” si immerge nei panni del mondo del circo che è sostrato vitale di una realtà che si distrugge dinanzi alla forza violenta del male della svastica.

Filtra all’interno della pellicola un black humor atto a devitalizzare qualsiasi coinvolgimento patetico e drammatico diretto.

Se in Jeeg-Robot lo scopo era partire da un contesto micrognomico anche a livello sociale, in Freaks out, Maietti fa i conti con la storia drammatica del Novecento, in una modalità antitetica a come fatta in passato dal Neorealismo senza dimenticare le sofferenze degli ultimi e lo sforzo di salvarsi dall’alluvione di sangue.

 

 

 

 

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."