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Il quadrante del destino: tra storia e finzione

“Indiana Jones e il quadrante del destino”, il 5 capitolo, quello conclusivo è uscito nelle sale dei cinema il 28 giugno. Il quadrante del film ovviamente non esiste, ma si ispira al Meccanismo di Antikythera, cioè un calcolatore di oltre 2.000 anni fa che la scienza studia da oltre un secolo. Lo strumento per calcoli astronomici rinvenuto nel 1901 si trovava nel relitto di un mercantile romano di 2.000 anni fa al largo dell’isolotto di Anticitera, tra Creta e il Peloponneso.
Dopo un anno dal suo ritrovamento, quando il quadrante del destino fu analizzato più minuziosamente e alcuni studiosi si accorsero di alcuni sofisticati ingranaggi in bronzo al suo interno, con ruote dentate di precisione spesse pochi millimetri. Un dettaglio che attestava la presenza di una tecnologia all’avanguardia.

In totale, i frammenti, gli ingranaggi e le incisioni rinvenuti furono 82, tali da comporre un puzzle diabolicamente complicato per gli studiosi di tutto il mondo che, in più di 100 anni, hanno cercato di scoprire la verità sulla misteriosa macchina di Anticitera.

Analizzando il meccanismo di Antikythera, gli studiosi notarono presto che una delle sue funzioni primarie aveva a che fare con la tracciatura del moto solare, lunare e delle cinque stelle erranti. Il primo a ipotizzare che quel groviglio di pezzi incisi e ruote dentate fosse una macchina calcolatrice fu il filologo tedesco Albert Rehm, il quale capì che il numero 19 scolpito su un frammento era un riferimento al cosiddetto ciclo metonico che descrive la corrispondenza approssimata tra 19 anni solari e 235 cicli lunari.

Nel 1974, il fisico britannico Derek J. de Solla Price pubblicò un articolo in cui si mettevano per la prima volta in relazione il planetario di Archimede e la macchina di Anticitera, suggerendo che la paternità del meccanismo fosse sua. Molti ricercatori, tra cui lo stesso hanno costruito manufatti per spiegare il funzionamento del meccanismo di Antikythera, ciascuno in base alle conoscenze acquisite fino a quel momento. Stando ai più recenti aggiustamenti, “il quadrante del destino” doveva apparire come una robusta scatola fatta di legno con una manovella sul lato per calibrarla e due “cruscotti” in bronzo sulle facce contrapposte.

Sulla parte anteriore, oltre a numerose iscrizioni, spiccava il quadrante principale, azionato da una ruota motrice che si muoveva con un ciclo annuale. Dotata di quattro raggi, al centro la sfera del Sole e tutt’intorno quelle della Luna e dei pianeti, che si muovevano ciascuno lungo cerchi concentrici sulle rispettive orbite. Sul retro, invece, i quadranti erano essenzialmente due, con altri più piccoli al loro interno. Il primo quadrante era un calendario basato sui cicli metonico (calendario di 6940 giorni) e callippico (calendario arrotondato per eccesso a 27759 giorni e, perciò, durava esattamente un giorno in meno di quattro cicli metonici), il secondo serviva a calcolare le eclissi solari e lunari con riferimento alla durata di un Saros.

A provarlo definitivamente è stato nel 2016 Alexander Jones della New York University, che i Greci conoscevano i periodi sinodici di Venere e Saturno, cioè il tempo che i due pianeti impiegano per tornare nella stessa posizione del cielo rispetto al Sole. Oltre cento anni dopo il ritrovamento, nel marzo 2021, l’Antikythera Research Team dello University College di Londra è riuscito finalmente a fornire una interpretazione migliore circa il funzionamento della parte anteriore della “macchina”.