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Cristiano Turato, viaggio alla scoperta della musica

Artista poliedrico, vantante collaborazioni e conoscenze importantissime, Cristiano Turato ha concesso un’intervista ai microfoni del XXI Secolo, ma prima di entrare nel vivo, ecco qualche nota biografica.

Cristiano Turato nasce a Padova nel 1973, avviando fin da subito la propria passione per la musica. Inizia a suonare la chitarra classica e, al dodicesimo compleanno, riceve la prima chitarra elettrica. Il giovane Cristiano studia poi canto moderno e chitarra perfezionando le proprie performances, dando vita alle prime canzoni fino al primo concerto. Successivamente inizia lo studio di pianoforte e basso elettrico, in contemporanea alla passione per la computer music. È affascinato da tutto il mondo dei sintetizzatori analogici.

In queste circostanze conosce Alberto Roveroni, all’epoca owner della Fabbrica del suono, avviando la propria carriera di assistente di studio e arrangiatore.

Insieme a Luca Sartori, Stefano Miozzo e Daniele Facci avvia il progetto “Madaleine”.

Prende parte a festival importantissimi, tra i quali bisogna ricordare il Festival San Vincent, dove con Grazia di Michele ottiene il primo premio, il Festival Primo su mille, dove con Franco Zanetti ottiene il primo premio, ed il Note nuove festival, dove ottiene nuovamente il primo premio. Al Festival di San Remo, nella sezione giovani, giunge in semifinale, così come al Festival di Castrocaro.

Nel 2014, con Alberto Roveroni, nasce il progetto pop-elettronico Ivideo, nel 2016 con egea music esce il primo disco “Quando sogno sparisco”.

Sempre nel 2016 esce, all’interno del disco di successi dei Dik Dik, il brano “senza luce”rivisto e arrangiato da Ivideo

Il 2017 ed il 2018 sono anni di intensa attività live, conoscendo, nello stesso periodo, Francesco Pisana di Thunder Label. Successivamente diviene parte della Warner Germany come arrangiatore. 

L’intervista

Di seguito l’intervista gentilmente rilasciata da Cristiano Turato:

– Chi è Cristiano Turato?

«Cristiano Turato è un bambino cresciuto che non ha mai smesso di credere che le favole esistano, quindi, tenendo stretta questa mia parte da Peter Pan, sono cresciuto, cresciuto musicalmente e come uomo, come padre, come figlio, cercando di coadiuvare la mia parte “bambinesca”, se così si può dire, e la mia parte da adulto.

Dal mio punto di vista è una cosa che ha sempre reso ciò che scrivo molto arrivabile dai bambini, proprio perché un po’ lo sono ancora.»

– Da dove nasce la sua carriera musicale?

«Nasce in un centro parrocchiale, all’età di circa tredici anni. Una volta, nelle vecchie chiese, nei vecchi centri parrocchiali, poteva succedere di trovare tanti piccoli strumenti da utilizzare, dalla batteria, alla tastiera, alle chitarre, al basso. Ricordo che quand’ero giovanissimo, frequentavo le scuole medie più o meno, c’era questo piccolo teatro in disuso, sfruttato per attività agonistiche sportive, come il calcetto e la pallavolo, e poi era usato per piccoli spettacoli. Montati sul palco c’erano sempre fissi questi strumenti. Noi ragazzini andavamo lì a provare. Era tutto molto fruibile.

Da lì è nato poi tutto.

Poi, naturalmente, avendo vissuto a casa con i miei nonni, ascoltatori di musica con un vecchio giradischi, di quelli utilizzati durante la guerra per ricevere notizie.

I miei nonni erano molto fortunati perché durante la guerra aggregavano le persone di tutta quella zona per ascoltare le cosiddette “notizie dal fronte”. Io mettevo su questi dischi, in questa specie di enorme radio, con sotto uno sportello che conteneva migliaia di dischi, dal Jazz alla musica più moderna.»

– Cos’è secondo lei la musica?

«La musica per me è un veicolo. È una nave, un porto da cui si può partire per elevarsi spiritualmente. Questa è la mia visione, completamente distaccata da tutto quello che è la mentalità di oggi, ma io credo comunque che essa sia e resti il punto fondamentale di chi si approccia a quest’arte. I vecchi maestri hanno iniziato non a caso nelle chiese a scrivere sinfonie con gli organi. Probabilmente il vero motivo per cui si scriveva, e per cui secondo me alcuni musicisti, anche importanti, scrivono, è per cercare di creare uno scalino in più rispetto alla realtà che viviamo.»

– Come si evolve la sua musica nel corso della sua carriera?

«Sono un trasformista, nel senso che mi piace trasformarmi, si evince anche dalla mia gavetta, che ancora continua, perché ho acquisito questo atteggiamento negli anni, un atteggiamento semplice, posto sempre all’ascolto e alla visione di tutto ciò che succede intorno e a prenderne i lati positivi. Ho suonato un po’ di tutto, dall’acustica all’elettronica, al folk-rock, al rock elettronico, al rock puro.

Se vogliamo prendere un’esperienza che mi ha cambiato, essa è il periodo degli anni novanta, che ha maturato in me anche la consapevolezza che il mio strumento, al di la dei miei studi che si sono estesi al pianoforte, al basso, ai sintetizzatori, è la chitarra. Nello scrivere canzoni non seguo una linea dedicata, uso la chitarra piuttosto che il pianoforte. Sono sempre pronto a cercare molte sfumature nella musica, perché ne ha di infinite.

Una sola cosa: odio il trap! Odio forse è un parolone, ma stiamo andando alla deriva con quella cosa che non definisco musica, assolutamente.»

– Ci parli del suo progetto Madaleine.

«È un progetto vecchio, datato intorno al 2000 che poi si è trasformato nel tempo. È un trio, pianoforte, sintetizzatore e il sottoscritto che cantava e curava l’acustica. Parte come un progetto acustico elettronico, trasformandosi nel tempo in un progetto pop elettronico, per definirsi poi in un rock elettronico in quattro elementi, con cui, prima di approdare nei Nomadi nel 2012, abbiamo girato praticamente tutta l’Italia. Questo progetto, come tutta la mia gavetta di partenza, dal mio primo concerto a quindici anni, ha visti nel mio repertorio, per un buon 80%, opere inedite, mentre il restante erano le cosiddette cover, sempre in linea con il programma musicale portato avanti. Negli ultimi anni, fino al 2012, il repertorio era di 25 pezzi, di cui 20 inediti, con i quali abbiamo girato. Ne sono molto orgoglioso, perché l’impresa era abbastanza difficile in quegli anni, ma il genere andava. Non ricordo precisamente chi fosse stato ad ascoltare una delle demo che lasciavamo in giro ai vari concerti, facendo nascere da lì l’esperienza dei cinque anni successivi con i Nomadi.»

– Quali sono i suoi progetti per il futuro?

«Il progetto per il futuro è un disco, che sto scrivendo intanto a due mani, che verrà, a seconda delle strategie che vorrà adottare Thunder e un’altra parte di discografia che non posso citare al momento per contratto. Vedremo le linee da tenere. Il disco uscirà tra ottobre-novembre e fine febbraio. Il disco ricalcherà le mie sfumature ed il mio linguaggio, che cerca di raffigurare la vita, i contenuti, a modo mio, ossia contaminato con l’elettronica.

Tra l’altro, il 7 maggio è uscito il mio ultimo singolo che si chiama Atlantide, contaminazione tra pop rock ed elettronica, ottenendo buoni riscontri tra Europa e America Latina.

Da ciò è scaturita tutta una programmazione che mi porterà a progettare dei live da gennaio 2020, in tutta Europa, per portare in alto la bandiera italiana. Canterò infatti prevalentemente in italiano, tranne qualche pezzo in inglese, porterò le mie cose in giro per l’Europa ed anche oltre oceano.»

Il XXI Secolo sentitamente ringrazia l’artista, Cristiano Turato, per la gentilezza e la disponibilità mostrate durante l’intervista.

Emanuele Marino
Emanuele Marino
Giornalista pubblicista, nonché studente universitario iscritto alla facoltà di Lettere Moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II