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Allevamenti intensivi ed alimentazione: conseguenze sulla salute e il pianeta

Quotidianamente vengono divulgate nuove ricerche a dimostrazione di quanto gli allevamenti intensivi risultino venefici per il nostro pianeta, per gli animali e per la nostra salute. Ma tutto ciò che mangiamo ha un margine di impatto ambientale, indubbiamente.

Tuttavia, le attività agricole rappresentano il 24% di tutte le emissioni di gas serra annue, delle quali, l’80% è correlato alle attività zootecniche, altrimenti chiamate “allevamenti”. Questo equivale a significare che la gran parte delle emissioni connesse alla nostra alimentazione dipendono dalla nostra personale scelta di rinunciare o meno a carni e derivati.

Cos’è un allevamento intensivo?

Per allevamento intensivo ci si riferisce a quelle industrie zootecniche che si occupano della custodia, della crescita e della riproduzione degli animali a scopo alimentare, in spazi ristretti e confinati, spesso parzialmente chiusi. Il fine ultimo di un allevamento intensivo (chiamato anche CAFO – concentrated animal feeding operation) è adempiere alla massima automatizzazione e industrializzazione dei processi produttivi più tradizionali, con la conseguenza di aver abbattuto i costi di produzione – ottenendo il massimo rendimento al minor costo possibile – di un bene sempre più gettonato: la carne.

Perché gli allevamenti intensivi inquinano?

  • Sono fonte di gas serra

È stato calcolato che se solo la popolazione degli Stati Uniti decidesse di rinunciare a carne e derivati per un solo giorno alla settimana, in un anno, risparmieremmo alla nostra atmosfera l’inquinamento prodotto da 7.6 milioni di automobili. Gli allevamenti intensivi, nel complessivo, ospitano milioni di capi di bestiame. Tutti questi animali producono deiezioni, ovvero “liquami”. Dai processi digestivi originano metano ammoniaca; attraverso l’accumulo di liquami – ad esempio – l’ammoniaca liberata nell’aria si combina con le altre componenti inquinanti, dando vita alle desolatamente note polveri sottili.

Una ricerca condotta a due mani da ISPRA e l‘Unità Investigativa di Greenpeace ha evidenziato che gli allevamenti intensivi, solamente in Italia, sono referenti di oltre il 75% dell’ammoniaca immessa nell’ambiente, andando quindi ad aggravare oltremisura l’inquinamento e la presenza di particolato nell’aria. Solo gli allevamenti degli Stati Uniti producono 500 milioni di tonnellate di letame ogni anno, ossia 3 volte la quantità di rifiuti prodotti dalla popolazione statunitense: questo è il prezzo per la nostra avida ingordigia di carne e derivati…

A ogni buon conto, metano ed ammoniaca non sono le uniche esalazioni: un’altra minaccia è rappresentata dal protossido di azoto.

Cosa c’entra il protossido di azoto con l’allevamento?

Il protossido di azoto è un prodotto secondario originato dalla decomposizione del letame, la sua immissione in atmosfera avviene però in quantità maggiore con la produzione e l’utilizzo di fertilizzanti azotati, così come durante il deterioramento di un terreno ricco di carbonio, appena disboscato per creare spazio ad uso agricolo.

  • Consumano e inquinano l’acqua

La deiezioni degli animali allevati contamina anche le falde acquifere.
I liquami, che sono anche ricchi di fosforo, azoto, potassio, ormoni e antibiotici vengono – frequentemente in modo illecito – sparsi nel suolo, andando poi a penetrare ed a contaminare le acque superficiali e di falda. Tale contaminazione contribuisce anche all’eutrofizzazione acquatica, che provoca una crescita incontrollata organismi vegetali favorita della considerevole dosi di azoto, fosforo e zolfo, riducendo di fatto l’ossigenazione dell’acqua e causando la morte di tante specie acquatiche. Al problema della contaminazione dell’acqua, si associa anche quello dell’impronta idrica, ovvero del quantitativo di acqua utilizzata in un qualsiasi processo di produzione degli allevamenti intensivi: l’allevamento di bestiame necessita di un imponente assortimento di acqua. Secondo Waterfoodprint, per la produzione di un chilo di manzo sarebbero necessari 15.415 litri di acqua.

  • Impatto sul suolo

    Secondo la Fao, il 26% delle terre emerse (un quarto della superficie terrestre – pari alla superficie di Europa ed Africa messe insieme –  non ricoperto dalle acque) è destinato agli allevamenti, ai campi per produrre mangimi e agli impianti di trasformazione e confezionamento.
    Secondo le indagini, solo in Amazzonia, il 70% del suolo deforestato è stato trasformato in pascoli bovini, mentre il restante 30% è occupato dalle terre coltivate per produrre il mangime destinato proprio agli animali.

  • Farmacoresistenza

Il problema della resistenza ai farmaci è stato già da tempo reso noto dalla medicina, diventando una vera e propria priorità di sanità pubblica, a livello globale.
Più  antibiotici vengono utilizzati, più gli agenti patogeni si evolvono sviluppando resistenza. Sono state promosse molte campagne di sensibilizzazione per limitare l’uso degli antibiotici, ma il problema è che la maggior parte di questi viene utilizzata negli allevamenti intensivi (solo in Italia si tratta del 70% sul totale venduto).
Proprio dagli animali si trasmettono agli umani molti dei virus letali che hanno riempito le pagine di cronaca degli ultimi mesi, ed anni.

  • Impatto sulla salute

Oltre alle conseguenze che l’impatto ambientale ha sulla nostra salute, l’Istituto Nazionale per il Cancro statunitense ha condotto uno studio su un campione di 500.000 cittadini americani, giungendo a conclusioni di notevole interesse: nei soggetti di questo campione che si è cibata maggiormente di carne rossa si riscontra un +20% di probabilità di morte per cancro e +27% per infarto.

Per le donne, i risultati sono ancora più allarmanti: fra le consumatrici di alte quantità di carne rossa, il rischio di morte per malattie cardiovascolari è più alto del 50%.

Tutte le nostre scelte hanno un impatto sull’ambiente, in particolar modo ne ha la nostra alimentazione, più di quanto immaginiamo.
Per questo oltre a scegliere di ridurre il consumo più prodotti animali, favorendo il consumo di alimenti di origine vegetale, è importante anche scegliere prodotti locali: in questo modo si ridurranno emissioni in percentuale dal 20 al 25%.