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Cala il tasso di imprese giovanili, l’indice è sceso di anno in anno arrivando a -22,4%

Cala il tasso di imprese Under 35: sono 156 mila in meno rispetto al 2011. 

È il triste dato di cui si viene a conoscenza in questa seconda pandemia: i giovani sono impossibilitati a creare un business, i rischi sono troppi e i giovani cercano rifugio in scelte meno rischiose come i posti statali, che proprio quest’anno hanno avuto un boom di adesioni.

Nel 2011 si registrava un tasso di imprese giovanili pari a 679 mila, sono passate poi a 541 mila a fine 2020 (- 22,4%). 

In varie regioni d’Italia, famose per la presenza di imprese Under 35 hanno riscontrato numeri preoccupanti che non fanno ben sperare per il prossimo futuro: la Lombardia ad esempio è passata dall’avere oltre 95 mila imprese giovanili ieri a 74 mila oggi; il Lazio è passato dall’avere 64 mila imprese giovanili ieri a 56 mila imprese oggi. 

Anche il Sud non ne è immune: in Sicilia ad esempio sono diminuite di quasi 16 mila rispetto a dieci anni fa.

Non è detto però che , ogni impresa uscita ufficialmente dalla dicitura “giovanile”, abbia chiuso i battenti: una parte di essi è da considerarsi ormai fuori da tale dicitura poiché semplicemente cresce il numero di titolari e amministratori.

Un dato è certo però: dieci anni fa le imprese giovanili rappresentavano circa il 10% dell’intero universo delle imprese iscritte al Registro (6,1 milioni), mentre oggi  sono invece l’8,9%.

Un motivo può risconttarsi anche nel calo delle nascite in Italia: la popolazione compresa tra i 18 e i 34 anni, quindi da considerarsi potenziali imprenditori, si è ridotta dell’8% dal 2011 al 2022; l’indice è sceso mediamente di un punto per ogni anno durante il decennio. 

Domenico De Masi, sociologo, incastra tale fenomeno all’interno di una prospettiva più ampia, economica e sociale: ” La riduzione delle imprese è in linea con la denatalità e con il calo dei matrimoni. I giovani cominciano a considerare con cautela l’apertura a quel modello di responsabilità che abbiamo imposto loro: si rifiutano cioè di cadere nella trappola che per anni gli abbiamo spacciato, dicendo che il posto fisso non esiste più ed esaltando l’auto-impiego. E spesso a dirlo è stato chi ha due o tre lavori stabili. Se si guardano i numeri, si scopre poi che i figli di chi ha un reddito elevato sono oggi lavoratori dipendenti. Se, su un totale di 541 mila imprese giovanili, sono circa 380 mila quelle individuali, vuol dire che si tratta di imprese fragilissime, che in alcuni casi vengono chiuse quando si concretizza un assunzione. Il fatto che la percentuale di imprese individuali sia sostenuta al Sud, conferma la strada dell’auto-impiego quale scelta determinata da un’assenza di altre opportunità”.