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Scuola, una società in scala

Le vicende della scuola romana, che negli ultimi giorni è stata al centro dell’attenzione di tutta Italia, ha sollevato un polverone offrendo diversi spunti di riflessione.

In primis si può parlare di una vera e propria segregazione sociale e abitativa, ossia la crescita di disuguaglianze geografiche, sociali, economiche, tra i bambini frequentanti le scuole di tutta Italia.

La prima differenziazione che si denota è l’appartenenza geografica nazionale, si è acuito il divario dell’immaginario comune esistente tra Sud, Nord e centro Italia, ma non solo, anche tra italiani e stranieri, tra abitanti del centro cittadino e delle periferie, generando una sorta di pochezza che si ripercuote su tutto il sistema sociale.

L’aumento delle disuguaglianze deriva dall’aumento della povertà assoluta delle famiglie, in primis e si ripercuote su tutto il sistema di istruzione, non più in grado di bilanciare la diversa provenienza socio-economica e culturale degli studenti.

Il risultato di questa segregazione socio-educativa lo si riscontra nei risultati formativi, nella dispersione scolastica e nel progressivo allontanamento dalla possibilità di raggiungere le competenze necessarie ad esercitare i propri diritti di cittadinanza.

Avvalora questa tesi anche il secondo rapporto di Save the Children riguardo la Povertà Educativa del 2015, che mostrava, basandosi sull’indagine PISA OCSE, che la percentuale di alunni 15enni italiani che non dispone delle competenze matematiche e linguistiche di base risultano essere in proporzione diretta all’abbassamento del livello socio-economico e culturale della famiglia di origine.

Un altro dato particolarmente importante riguarda la formazione delle classi che non rispetta l’eterogeneità presente nella scuola, non mescolando alunni con background differenti.

Il Politecnico di Milano ha condotto una ricerca volta ad individuare le metodologie di creazione della segregazione scolastica in base al background della zona di provenienza.

La ricerca ha mostrato che in quartieri caratterizzati da forte presenza di immigrati, una percentuale pari all’80% dei bambini italiani si sposta verso il centro o verso scuole private e abbandona il proprio bacino scolastico d’utenza, creando un certo scompenso all’interno delle classi della scuola pubblica, che non sono più in grado di rispettare quel grado di eterogeneità naturale, generando un ostacolo insormontabile.

Ciò ci porta all’analisi di un ulteriore problema, altresì importante, la concentrazione di povertà educativa.

Grazie alle analisi ministeriali di valutazione degli istituti scolastici è facile individuare le aree di povertà educativa, ossia quelle aree dove bambini e adolescenti hanno scarse opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire talenti e aspirazioni.

Per fare ciò bisogna investire proprio sulle suddette istituzioni, l’anello debole della catena, al fine di fortificarlo e rilanciarlo.

Una scuola senza discriminazioni o classismo è naturale e realizzabile, che essa si trovi nei quartieri “migliori” o “in frontiera”, deve garantire assolutamente il diritto ad un’istruzione di qualità per tutti i bambini, come indicato dalla Convenzione ONU e dall’Agenda 2030, delineando, per mezzo di legami istituzionali o con le associazioni locali, una vera e propria rete educante.

Solo in questo modo si riuscirà a prevenire il disfacimento della società.

 

Emanuele Marino
Emanuele Marino
Giornalista pubblicista, nonché studente universitario iscritto alla facoltà di Lettere Moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II