giovedì 18 Aprile, 2024
16.4 C
Napoli
spot_img

Articoli Recenti

spot_img

Intervista a Francesco Saverio Ferrarara

L’attività poliedrica di Francesco Saverio Ferrara, giovane campano di Salerno, ne fa uno delle penne più richieste nel panorama artistico-letterario ed editoriale italiano nazionale e non solo.

Dopo un decennio trascorso a farsi le ossa, nelle sedi in cui la cultura e la ricerca è di casa, attraversando biblioteche  e monasteri, Ferrara ha conseguito riconoscimenti e premi in vari concorsi in Italia e collaborazioni anche con l’estero.

Dal 2016 collabora in qualità di direttore artistico presso Zhistorica, sito web divenuto una delle migliori pagine di storia presenti nel panorama italiano del mondo dei social network, ad oggi costituente tra le migliori case editrici emergenti, diventandone una delle colonne portanti.

Quest’anno, inoltre, ha partecipato presso il liceo di Salerno in qualità di “miglior allievo”, in occasione del 60esimo anniversario dell’istituto.

Muovendosi tra mille saperi e nelle branche più arcane della conoscenza, spazia dagli interessi artistici letterari, passando dalla filosofia all’anatomia, ed approdando ai confini della demonologia, elementi che diventeranno punto cardine della sua attività di autore e illustratore.

Il fantasy e il medioevo sono il cavallo di battaglia, da cui si evince la passione e lo zelo nella ricerca e nel lavoro,  per il mondo normanno e feudale, di una mens artistica da tener bene nel mirino, in cui l’atmosfera gotica e cupa sfiora in modo elegante il macabro, senza mai tralasciare il dettaglio, punto cardine di ogni opera d’arte partorita.

Il XXI secolo ha approfittato della generosità dell’artista per rubargli delle anticipazioni anche in merito all’opera che costituisce la prima tappa del lavoro decennale di ricerca, dal titolo “Il vero bene e vero male”, in cui viene delineato il percorso sulla figura e la lotta al mostro durante il Medioevo, avente spunti e ripercussioni anche nel mondo attuale.

Cosa vuoi intendere con nozione di mostro e del male? Come nasce?

«Il Male è quel mondo di pulsioni ed energie che la tradizione giudaico-cristiana ha racchiuso e incarnato nella figura di Satana. È quella nube venefica che infetta l’uomo costringendolo a commettere i peggiori crimini, o a fare battute volgari. I mostri sono i suoi rappresentanti in carne ed ossa, esseri puramente malvagi, creature che vanno contro la legge della natura per numero di teste, code, corna, occhi. Esiodo li descrive, nel suo Teogonia, con grande perizia, Dante si sofferma molto nella descrizione del suo enorme Lucifero con tre facce e questo, ci affascina da morire. Quante volte ci siamo fermati davanti a un affresco raffigurante il Giudizio Universale, rapiti dalle raffigurazioni dei diavoli e creature infernali che brulicano dal ventre della nera terra?
I mostri marciano soprattutto contro la legge degli uomini, divorano chiunque capiti a tiro, distruggono città e annientano interi eserciti. E questo accade in tutte le culture antiche, dal Perù alla Cina.
L’uomo si è affezionato ai mostri così tanto da cominciare a chiedersi cosa pensassero e se fossero in grado di provare sentimenti buoni. Grendel, nel Beowulf, ci fa quasi pena. Mary Shelley fa del mostro creato dal dottor Frankenstein un autentico poeta.
I mostri cambiano: ieri avevano corna e lingue di fuoco, oggi hanno un camion di rifiuti tossici da sversare in un lago»

Perché in ogni epoca abbiamo bisogno del mostro nell’immaginario collettivo? È l’emblema della paura della civiltà?

«Il Mostro incarna quell’essere che abita in un posto che non dovremmo visitare. Io da bambino non sarei dovuto salire in soffitta, perché c’era una strega, in realtà c’erano i topi. Allo stesso modo gli antichi naviganti nordici non avrebbero dovuto far vela nell’oceano perché il colossale Kraken avrebbe scatenato onde gigantesche, distruggendo le loro navi. I rematori greci non dovevano passare in quello stretto perché il terribile Cariddi risucchiava navi e uomini. Nel Medioevo, fare una gita in un bosco poteva significare finire nel pentolone di un orco insieme ai condimenti.
Poi, si sa, i vichinghi hanno costruito navi migliori e, attraversando l’oceano, sono arrivati all’isola di Terranova, e io salivo in soffitta per vedere com’era fatta la strega.
La nostra epoca ci ha insegnato che negli oceani non esistono piovre gigantesche e nei boschi non ci sono troll mangiauomini, tant’è che stiamo cercando i mostri nei cieli, in sella a dischi volanti. Stiamo imparando che il Male e i Mostri non sono entità che vivono al di fuori di noi e, per molti, questo è l’orrore più grande.
I mostri, e quindi le paure, esistono per essere affrontati e l’uomo è quella creatura in grado di inventare strategie sempre più creative per combatterli»

Parlando del medioevo, perché oggi a oltre 300 anni di distanza dal falso mito illuminista di barbarie, riesce sempre a detenere quel carattere cupo e orrido?

«All’epoca illuminista serviva rappresentare una civiltà e un modo di vivere molto distante da quella che avrebbero voluto creare. Alla propaganda faceva comodo raccontare di come le donne venete mettevano pollo avariato sotto i seni per non farsi violentare dai longobardi. Raccontare di come l’Europa fosse, in età medioevale, teatro continuo di guerre, persecuzioni, pestilenze e carestie, oppressione da parte della Chiesa e regnanti che imponevano assurde tassazioni. Uno scenario che nel ‘700, in una certa forma, continuava ad esistere e gli illuministi si prefiguravano perciò una civiltà utopica, un luogo a cui aspirare in cui gli uomini vivono e convivono, secondo le leggi dettate dai Lumi della Ragione.
Oggi molti pensano ancora al Medioevo come ad un’epoca buia, e gran parte di tale immaginario lo si deve soprattutto al cinema. L’aggettivo “medievale” è ancora usato in forma dispregiativa. Ed è vero, fu un’epoca buia perché nonostante il progresso tecnologico, i primi esperimenti di democrazia allargata (i Comuni), la presa di coscienza da parte del popolo, la donna non aveva molti diritti e in molti casi non ne aveva affatto, le minoranze erano emarginate, la politica era molto lontana dal popolo e i populismi erano molto diffusi, la religione contaminava ogni aspetto della società. Evidentemente, dopo 300 anni di “ ideali illuminati ”, sentiamo che queste briciole di Medioevo sopravvivono ancora e abbiamo bisogno di scrollarcele dai vestiti»

Ci hai accennato al tuo lavoro in merito alla figlia di una dei personaggi del passato più noto nell’immaginario collettivo, Dracula, puoi dirci qualcosa?

«Il Conte Dracula è stato in Italia, non fisicamente visto che morì in battaglia, ma vi giunse nella memoria di sua figlia Marja. Fuggita dalla Romania venne accolta da Ferrante d’Aragona, re di Napoli, e sposò un nobile della famiglia Ferrillo. La coppia ottenne il territorio di Acerenza nella cui cattedrale ci sono tracce dell’ordine cavalleresco del Dragone. A Napoli lei fece, presumibilmente, dedicare al padre una lapide nella Chiesa di Santa Maria Maggiore.
Fosse vera si tratterrebbe di una storia avvincente fatta di cavalieri, dame, sullo sfondo la guerra di Ferrante contro gli Angioini, corti medievali, intrighi, la Chiesa che scomunicava e dava la caccia a nobili eretici. A questo impasto si aggiunge anche il condottiero albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, una leggenda vivente, che giunse in Italia per sostenere il re di Napoli nella guerra contro i francesi.
A me piacerebbe che, ordinati i tasselli colmando i buchi narrativi, siano lasciate fuori le fantasie che negli ultimi anni hanno contribuito ad inquinare non poco la ricerca degli esperti in merito a questa pagina di storia»

Altra grande figura femminile, vicina anche a noi geograficamente, ed oggetto dei tuoi studi è Sichelgaita da Salerno, principessa longobarda, moglie del Guiscardo, di cui poco si sa. Può essere un ottimo esempio del ruolo politico della donna nel mondo medievale, in cui non sono mai mancate donne energiche?

«Visse nella Salerno dell’anno mille, che all’epoca era una città multietnica, multiculturale, i mercanti arabi dividevano le strade con la comunità ebraica, nel porto approdavano navi dalla Grecia e dalla Sicilia islamica. L’aristocrazia salernitana non aveva nulla da invidiare a quella di Costantinopoli. Il matrimonio col condottiero normanno Roberto il Guiscardo, Conte d’Altavilla, fu ovviamente un atto diplomatico. Roberto si presentò ai bastioni del castello d’Arechi stringendolo in assedio, ma lei aveva la vista lunga, sapeva che il suo mondo stava scomparendo e che i normanni avrebbero regnato a lungo nelle terre che un tempo furono longobarde. L’accordo fu proposto da lei stessa e poi, il biondo ragazzone aveva il suo fascino.
Il concilio di Melfi del 1059 fu organizzato da Sichelgaita, poco più che ventenne. Provvide all’accoglienza dei signori ma soprattutto alla mediazione tra loro e il papa Niccolò II.
Qui la Chiesa, firmando il famoso trattato, si affidò alla cavalleria normanna per il controllo del Meridione, investendo Roberto e la giovane moglie del titolo di fideles. In quella data la Chiesa diventò quindi una potenza militare. A Salerno, nel museo del castello longobardo, c’è un piccolo pezzo tra tanti in esposizione che documenta questa alleanza, seppur di epoca più tarda: la testa di una mazza ferrata. Per le guerre contro l’impero bizantino e le campagne in Sicilia contro i saraceni fu commissionata la costruzione di mazze ferrate, in dotazione alle truppe di fanteria normanne. Forgiarle costava molto meno di una spada, e non c’era bisogno di addestramento. I guerrieri del nord erano omoni in grado di uccidere un cavallo a mani nude, immaginarli brandire mazze ferrate è materiale di godimento per qualunque medievista. Inutile dire che anch’io ho sostato parecchio sulla vicenda.
La tradizione longobarda vuole che le donne di corte partecipino attivamente alla vita politica, infatti negli atti firmati da Roberto non è una stranezza trovare la didascalia “per intercessione di Sichelgaita” o “per volere di Sichelgaita”.
Donna guerriera, affianca spesso il marito sui campi di battaglia, in cotta di maglia e armata fino ai denti si lanciava in cariche frontali spronando il suo seguito di cavalieri. Si afferma nel suo tempo come una donna forte e ambiziosa, tutti parlavano di lei come la principessa intelligente e di gran cultura (oggi le principesse sono belle) che dedicò la sua vita allo studio soprattutto in campo medico ed erboristico alla celebre Scuola Medica Salernitana. Seppe resistere a calunnie e complotti che avrebbero umiliato le eroine de Il Trono di Spade. E a me piace pensare che riuscì a far innamorare un uomo di guerra, un gigante non solo di statura, quale era Roberto»

Parlaci di Zhistorica, com’è nato il progetto della pagina fb che sta cambiando il modo di comprendere e sfatare il passato, in maniera positiva.

«La mia collaborazione con Gabriele Campagnano è nata nel 2016. Decidemmo davanti a un panino salsicce e broccoli di pubblicare 10 monografie inedite di uomini d’arme del passato, tra cui Skanderbeg (citato prima), Donia, Pregeant de Bidoux, Franz Schmidt, Giovanni delle Bande Nere e altri valorosi. Ci lavorammo un anno intero, un’esperienza bellissima seguita da un successo che non aspettavamo. Fummo invitati subito al Chronicae e ad altri importanti eventi su scala nazionale. Zhistorica è divenuto così il sito di approfondimento storico numero uno in Italia, con 2 milioni di visite l’anno. Il lavoro più divertente per noi è appunto sfatare miti ma soprattutto far emergere figure che spesso sono messe da parte dalla storiografia ufficiale, studi condotti con estrema serietà ed attenzione. Abbiamo appena pubblicato il diario di un conquistador tedesco, Federmann, un altro successone, tutte le copie esaurite in poche ore. In cantiere ci sono progetti succulenti come i grandi assedi del ‘500 e, con mio sommo gaudio, focus su donne vissute tra medioevo ed età moderna, che si sono distinte in un mondo fatto di uomini per uomini. Ma non voglio anticipare nulla di più»

Oggi, nell’immaginario collettivo chi è il mostro, l’emblema del male, secondo te?

«Il mostro risponde al nostro bisogno di credere che esista qualcosa di così terribile, malvagio e sinistro da far sembrare noi stessi meno mostruosi. L’uomo si è sempre difeso prima di tutto da sé stesso. Per questo motivo il ‘900 risulta un secolo interessante, è riuscito a servire agli uomini degli autentici mostri: i grandi dittatori. È interessante appunto notare come il mostro ha smesso di essere una creatura delle foreste o degli abissi, indossando pelli umane. Uomini spietati, manipolatori, che con occhi bui e voci inquietanti aizzavano fratelli contro fratelli, tingendo i fiumi di rosso. E noi avevamo un estremo bisogno di sentirci al sicuro da questi mostri, di sentirci distanti da loro, e siamo riusciti a costruire un mondo ideale fatto di dialogo e comprensione, convivialità e tolleranza.
Ma devo rispondere alla domanda, devo parlare di oggi, e sarei disonesto se negassi che quei mostri sono diventati icone. Oggi sei figo se sei bullo, se picchi il professore in aula, se rompi le ruote alla sedia di un compagno disabile, se lanci l’i-phone in faccia a tuo padre pretendendo che compri il modello nuovo. E noi siamo di nuovo disarmati, assistiamo impotenti alla creazione di un nuovo mostro. E stavolta non è un impettito signore della guerra, ma un debole morto di fame senza nome che lasciamo annegare, perché la sua imponente presenza farebbe vacillare il nostro sistema economico e metterebbe in serio pericolo la nostra identità razziale. E questo fa orrore a me, che di mostri ne vedo parecchi»

21secolo_tav_1_domenico_papaccio
Tav 1
21secolo_tav_2_domenico_papaccio
Tav 2
21seolo_tav_3_domenico_papaccio
Tav 3
21secolo_tav_4_domenico_papaccio
Tav 4

 

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."