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Hitchcock, il maestro della suspence nacque 124 anni fa

Considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema, Alfred Hitchcock ha insegnato al suo pubblico il terrore che si cela nel quotidiano, nelle paure più comuni e poi ha proiettato questi timori che erano sopiti sul grande schermo. Le sue inquadrature frutto di uno stile unico avevano come obiettivo il coinvolgere lo spettatore in uno dei meccanismi narrativi di cui sarà maestro: la suspence. Hitchcock ha diretto oltre 50 film e la sua carriera ha coperto quasi 6 decenni (dagli anni ’20 fino alla fine degli anni ’70); è stato candidato a ben sei premi Oscar e nel 1968 ha vinto il Premio alla memoria Irving G. Thalberg attraverso il quale venne definitivamente riconosciuto il suo genio creativo.

Alfred Hitchcock nasce a Leytonstone, vicino Londra, il 13 agosto 1899. Fin da subito si rivela un bambino molto tranquillo a tal punto che il padre era solito definirlo “il mio agnellino senza macchia”. Dai 9 ai 14 anni studia presso i gesuiti dello St. Ignatius College di Stamford Hill, un ambiente rigido dove subisce addirittura punizioni corporali. Una volta lo stesso Hitchcock affermò: “Molto probabilmente è stato durante il periodo passato dai Gesuiti che il sentimento della paura si è sviluppato con forza dentro di me”. Sin da piccolo manifesta una grande passione per la fotografia e nel 1917 alimenta la sua vena artistica frequentando corsi di disegno. È da subito un assiduo frequentatore delle sale cinematografiche prediligendo le opere americane a quelle inglesi, mentre tra i suoi miti compaiono Charlie Chaplin e David Wark Griffith. Ad un certo punto riesce ad ottenere dalla casa produttrice Famous Players l’incarico delle locandine e delle didascalie dei film muti in produzione: questa diventa per lui un’occasione molto importante per avvicinarsi ad altri settori come la sceneggiatura e il montaggio. Nel 1922 debutta come regista, ma la sua opera rimane incompiuta, a tal punto che persino il titolo è incerto: per la casa di produzione risulta “Mrs. Peabody”, mentre per lui resta “Number 13”. I suoi primi film arrivano verso la metà degli anni ’20 con Il giardino del piacere (1925), L’aquila della montagna (1926) e Il pensionante (1926). Si tratta di pellicole che già esprimono quella personalità che esploderà poi con i film a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.

In particolare Il pensionante il cui titolo originario è The lodger ‒ A story of the London fog, rivela il talento di Hitchcock nel rappresentare atmosfere dense di mistero proponendo quella che è una variazione del caso di Jack Lo Squartatore; così in questo film si fanno avanti quelle che sono tematiche tipicamente hitchcockiane come quella del dubbio, della persecuzione mentale, dell’ossessione psicologica, ma soprattutto quella del falso colpevole (un innocente viene scambiato per il colpevole o accusato ingiustamente) che vede in questo film la sua prima rappresentazione e che ha come scopo il proporre la tematica del conflitto tra l’individuo e la società. In questo film Hitchcock non si avvale troppo delle didascalie facendo parlare l’atmosfera sapientemente delineata dall’utilizzo delle luci e della composizione formale.

L’avvento del sonoro lo trova inizialmente guardingo, ma poi il regista cerca di fondere insieme lo sperimentalismo delle immagini alle nuove possibilità espressivo-sonore. L’occasione arriva con Il ricatto (Blackmail, 1929) film girato inizialmente muto, per poi essere sonorizzato successivamente. Importantissimo per la sua carriera fu anche Omicidio! (1930) in cui si avvale per la prima volta della voce fuori campo, giocando con la dimensione del narratore onnisciente.

Già nei film che realizzò in Inghilterra, il motivo della suspence era già molto presente dal momento che attinse alla tradizione della narrativa gialla britannica, introducendovi però un sottile umorismo (evidente soprattutto con Il club dei trentanove, 1935 e Sabotage, 1936) e una ricerca formale molto elaborata. La suspence è l’attesa che accada qualcosa che in realtà non si desidera che avvenga: è questo il meccanismo che intrappola il pubblico in un’angoscia senza rimedio e allo stesso tempo gli impedisce di allontanare gli occhi dallo schermo. “L’arte di creare suspence è nello stesso tempo quella di mettere il pubblico nell’azione facendolo partecipare al film. Lo spettacolo, da questo punto di vista, non è più un gioco che si fa a due (il regista + il suo film), ma a tre (il regista + il suo film + il pubblico) e il suspence, come i sassi bianchi di Pollicino o la passeggiata di Cappuccetto Rosso, diventa un mezzo poetico perché il suo obiettivo è quello di commuoverci, di farci battere più forte il cuore” queste le parole di Truffaut che esprimono perfettamente ciò che ha reso la poetica di Hitchcock così potente.

Negli anni ’40 Hitchcock approda in America e fra i suoi nuovi lungometraggi compare Rebecca-La prima moglie (1940), film che ebbe un enorme successo sia dal punto di vista del pubblico che della critica. La pellicola tratta da un libro di Daphne du Maurier, vinse un premio Oscar per la produzione e uno per la fotografia.

Durante la Seconda guerra mondiale, il regista si concentra su una serie di lavori legati agli eventi storici in corso, documentari e film che fungessero da testimonianza. In seguito, gli anni ’50 sono stati il periodo più fiorente di Hitchcock anche grazie al sodalizio con Grace Kelly che ritroviamo in film come Il delitto perfetto e La finestra sul cortile del 1954. Negli anni ’60 escono film di sempre maggior successo come La donna che visse due volte, considerato uno dei punti di riferimento per il genere del thriller psicologico e che si è distinto anche per l’utilizzo di tecniche innovative come il dolly zoom (o Vertigo effect) che consiste in un movimento di camera in cui l’obiettivo viene spostato avanti o indietro mentre la macchina da presa si muove nella direzione opposta. Altri importanti film che uscirono negli anni ’60 sono Psyco (noto per le innovative tecniche di ripresa applicate ad esempio nella famosa scena della doccia), Uccelli e Marnie. Gli ultimi anni della sua vita proseguirono senza altri successi particolari e l’ultimo suo film fu Complotto di famiglia (1976). Il geniale regista morì a Los Angeles il 29 aprile 1980.

Hitchcock è stato in grado di mettere in scena le paure dell’uomo comune e le fa vivere allo spettatore in una spirale di vertigine, di perdita d’identità e di claustrofobia: è una paura del quotidiano, motivata e perfettamente ragionevole, lontana dal terrore sovrannaturale dell’horror. Il cinema di Hitchcock obbedisce nella sua verosimiglianza ad una legge: più una situazione sembra naturale e familiare più è suscettibile di diventare inquietante.