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Hasta siempre, Comandante!

La leggenda del Che, al secolo Ernesto Guevara de La Serna, è risaputa, eccome, capace di entrare nel mito e nel folklore, soprattutto in America Latina, come testimoniano le moltissime canzoni dedicate al rivoluzionario Comandante, fino a divenire emblema pop nell’arte di Andy Warhol.

Data proprio la sua popolarità, spesso è sdoganata anche in malo modo da parte delle attuali leaders politici, anche di correnti totalmente antitetiche al suo pensiero.

Fermarsi alla sola vicenda cubana, infatti, sarebbe limitato per un mero condottiero, il quale costituì non solo un esempio romantico nell’immaginario collettivo, diventando emblema dei movimenti rivoluzionari di Sinistra, ma un leader politico che voleva portare un nuovo corso rivoluzionario dall’America Latina all’Africa, per dar voce proprio a quei paesi e popoli da sempre oggetto della morsa del capitalismo, coloniale e non.

Dopo l’allontanamento volontario da Cuba, per cui secondo le testimonianze raccolte da John Lee Anderson , lo riprendono attento ai ministero centrale per oltre 18 h di lavoro al giorno, al punto da dormire sui gradoni dell’ufficio ed esser scambiato a volte per senzatetto,  nel 1965, Che Guevara, fu intento in operazioni nell’ex Congo Belga, ed in seguito anche nella fatale Bolivia, in cui fu catturato e giustiziato 51 anni fa.

La tecnica della guerriglia, usata per la liberazione di Cuba, secondo la tesi del Che, poteva esser esportata e capace di aver analoghi effetti in altre aree del mondo soggette dell’anello debole del mondo capitalistico, richiamandosi alla dottrina marxista-leninista e a quella  trozkijsta , in merito all’ esportare la rivoluzione.

Ma la figura del Che è anche quella di un intellettuale che va oltre alla sua professione di medico, sperimentata molto nell’ asprezza dei conflitti,  con interessi per la letteratura, data la passione per la poesia, specialmente per Neruda, oltre che per gli scacchi.

Ciò è testimoniano dai suoi numerosi scritti sulle vicende politiche del primo secondo Novecento, come “Questa nostra Umanità”, oppure dai numerosi diari in cui, dalla gioventù dimostrano l’interesse verso le condizioni del continente latinoamericano, oltre ai numerosi scritti in versi.

Nel XXI è proprio lo storico e biografo del Che a ridar manforte all’operato ed all’esempio di un uomo che rinunciò agli agi di una vita da benestante, per assumere , in modo etico, le sorti della sua stessa vita e metterla in relazione ai destini degli ultimi.

“Prefiero morir de pie a vivir arrodillado”

 

 

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."