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Vittorio De Sica, telefoni bianchi e regia neorealista

Vittorio De Sica si spegne il 13 novembre del 1974 a Neuilly Sur Seine, a sud-est di Parigi dopo aver dato al cinema italiano sul piano formale nel versante attoriale e regia l’agrodolce e il pathos, tra momento di riflessione storica e tragicomiche che diverranno la commedia all’italiana.

“Napoletano e’ fore” come diceva lui, De Sica nasce a Sora, all’epoca Terra di Lavoro prima di entrare nella regione laziale, approda sul palcoscenico grazie a Mario Mattioli che lo scova mettendolo al fianco di Umberto Melnati, intorno agli anni 20′-30′ e inserendosi nella serie dell’attore con il cassettone da corredo.

Ma il cinema consacra De SIca, un genere che nell’età del Ventennio lo immortala da protagonista, Il Cinema dei Telefoni Bianchi diretto da Mario Camerini.

Un cinema disimpegnato in cui piccole vicende di personalità piccolo borghesi trovano realizzazione del buldingroman sul piano economico e sentimentale.

Titolo exempla sono “Gli uomini che mascalzoni…” in cui lancia una canzone leitmotiv della sua lunga carriera -Parlami d’amore Mariù-; “Il signor Max”; “Darò un milione”.

Tra gli anni 40′ De Sica scopre la macchina da presa, senza chiudere nel baule il carisma attoriale, esordendo con “Maddalena…zero in condotta” del 1940.

Nomenclare la realizzazione attuata attraverso gli occhi degli ultimi che hanno perso identità in un’Italia sventrata dalla guerra in opere magistrali che saranno premiati con Nastro d’Argento e Oscar.

Dai bambini del riformatorio di “Sciuscià”, il sottoproletariato di “Ladri di biciclette”, l’asperità dell’età canuta di “Umberto D”. sono alcuni dei titoli evocativi della grandezza di Vittorio.

De Sica ha delineato le sconfitte quotidiane di una nazione sfrangiata dalla violenza della guerra, tra la voracità tirannica per la sopravvivenza dell’immediato secondo dopoguerra, zoommando le prospettive di classi sociali che hanno impattato con l’abisso economico e umano dell’Italia traumatizzata.

Allo stesso tempo va rilevato il ruolo di mallevadore avuto nei confronti dei magistra della scena italiana della commedia come Sophia Loren e Marcello Mastroianni in “Ieri, oggi e domani”.

Fecondo è stato il rapporto con Alberto Sordi, di cui oltre al ruolo avuto nel nobile decaduto “Il conte Max”, va menzionato il primo successo di Albertone ne “Il vigile” e ne “Un italiano in America”.

Tra i grandi nomi del neorealismo che hanno affiancato Vittorio De Sica va certamente ricordato il ruolo centrale e suggestivo avuto ne “Il generale della Rovere”, diretto da Roberto Rossellini.

Personaggio che certamente ha racchiuso in maniera pop la figura del maestro De Sica è l’interpretazione del maresciallo dell’Arma Antonio Carotenuto, insieme alla Lollogrigida prima e alla Loren poi, senza dimenticare i panni del maresciallo Cotone ne “I due marescialli”, affiancando Totò.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."