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Homo faber fortunae suae, uomo distruggi il tuo mondo!

L’uomo è artefice del proprio destino, proprio vero, soprattutto considerando i piccoli gesti intenzionali che ogni giorno l’esse umano compie, i quali spesso gli si ritorcono contro.

Uno di essi, tra i più attuali, è quello che si è verificato nella fine del mese di agosto in Amazzonia. Il Rio delle Amazzoni è il bacino più importante del mondo e contiene la foresta pluviale più grande del pianeta, la regione dell’Amazzonia si estende nella parte settentrionale dell’America del Sud e, da sola, ricopre la quota del 60% della superficie delle foreste sulla Terra, grazie ai suoi 5,5 milioni di kmq di foresta.

La maggior parte di essa, più della metà, insiste nel territorio del Brasile, paese associato all’Amazzonia.

Quest’oasi mondiale però ha rischiato, il mese scorso, di riportare gravi danni, quasi irreparabili, he avrebbero trascinato con se anche l’ecosistema mondiale, modificando le sorti dell’intera popolazione terrestre.

Nel corso del mese di agosto, infatti, le fiamme hanno avvolto interamente le foreste degli stati brasiliani di Amazonas, Rondonia, Mato Grosso, Parà e del Paraguay. La città di San Paolo è stata oscurata da una fitta coltre di fumo nero proveniente dagli incendi scoppiati in Amazzonia, seppur ci fossero 2.700 km di distanza tra i due luoghi.

Ma come mai questo incendio ha generato tanto clamore da richiamare l’attenzione mondiale?

Semplice, grazie all’Amazzonia, il pianeta ha una insostituibile riserva di ossigeno!

Il grande polmone verde mondiale, infatti, è un vero e proprio organo terrestre mondiale, che assorbendo anidride carbonica dall’atmosfera rilascia massicce quantità di ossigeno, fondamentale per la vita sulla Terra.

Il suo ruolo all’interno dell’ecosistema mondiale risulta quindi essere fondamentale, proprio per questo motivo è stato subito diramato un vero e proprio allarme mondiale, che ha generato una serie di conseguenze impensabili.

Sono partite iniziative, squadre di volontari, petizioni e altre attività varie per cercare di salvare quello che è il serbatoio naturale di ossigeno mondiale, in un periodo in cui già il clima ci sta facendo capire chiaramente di esserci spinti oltre le nostre possibilità, con scioglimento dei ghiacciai a causa dell’innalzamento delle temperature, modifiche climatiche in tutto il mondo, causa di morte ed eventi catastrofici, si veda ad esempio anche l’uragano Dorian che ha colpito le Bahamas nella fine del mese di agosto.

Gli scienziati hanno immediatamente lanciato l’allarme riguardo gli incendi in atto nella foresta, temendo che essi possano compromettere la lotta ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale.

Tra il mese di gennaio e quello di agosto del 2019 si sono verificati circa 72mila incendi, contro i 40mila dello stesso periodo del 2018, con un aumento pari all’83%.

Bisogna però sottolineare un dato fondamentale che ci permette di capire il perché del tono polemico nei confronti del genere umano, la foresta pluviale amazzonica resta umida, zuppa di acqua per gran parte dell’anno, pertanto non brucia naturalmente. Ciò implica che la maggior parte degli incendi sia da considerarsi di natura dolosa.

L’uso del fuoco, è in effetti una tecnica utilizzata per il disboscamento illegale, generalmente sono gli agricoltori e gli allevatori locali ad appiccare suddetti roghi, perché essendo già in possesso di grandi imprese zootecniche e agro-industriali, sono interessati ad ottenere nuove terre per espandere i propri patrimoni, i propri fondi e le proprie attività.

Il 10 agosto nella città di Novo Progreso, nello stato del Parà, gli agricoltori e gli allevatori avrebbero istituito il “Giorno del fuoco” in uno dei nove stati che compongono la macroregione amazzonica.

Dopo l’insediamento del presidente Jair Bolsonaro, il disboscamento della Foresta Amazzonica è aumentato di un tasso pari a circa il 278% rispetto all’anno precedente, contando un totale di 1.345 kmq disboscati.

Ciò che causa sgomento è che le foreste pluviali svolgono un ruolo fondamentale di contrasto al riscaldamento globale e, con la loro scomparsa, rischieremmo di perdere fra il 17 e il 20% di risorse di acqua per il Pianeta, un numero pari a 6,7 milioni di km quadrati di territori boschivi, a cui si aggiunge il rischio della perdita di habitat per 34 milioni di persone e del 10% di tutta la biodiversità mondiale.

Le piante verdi, o più in generale le piante, aiutano a mantenere stabile la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, mentre l’utilizzo di combustibili fossili ed il diboscamento stanno causando un aumento di CO2 in essa, causa diretta di fenomeni come l’effetto serra ed il riscaldamento globale.

Gli effetti negativi del diboscamento sono numerosi e comprendono:

  1. perdita della biodiversità;
  2. diminuzione dell’irraggiamento solare, assorbimento di anidride carbonica e rilascio di ossigeno;
  3. effetto serra;
  4. desertificazione dei territori secchi;
  5. erosione, frane e smottamenti nei territori piovosi e collinari;
  6. inquinamento degli ecosistemi acquatici;
  7. sottrazione di risorse;
  8. squilibri climatici e idrogeologici.

Il diboscamento contribuisce poi ad una riduzione dell’evapotraspirazione, che tende a diminuire l’umidità atmosferica e le precipitazioni, senza considerare che boschi e foreste sono importantissimi ecosistemi dotati di elevatissima biodiversità, che rischia di essere perduta a causa del disboscamento.

I metodi per tenerlo sotto controllo sono numerosi, ma sono tutti sottoposti alla politica, che spesso è più interessata all’economia che alla salvaguardia del proprio habitat naturale!

In primis basterebbe attuare una agricoltura sostenibile, non scontato nei paesi in via di sviluppo come potrebbe sembrarlo in quelli più sviluppati, è stato poi proposto un sistema di gestione forestale sostenibile, il cosiddetto GFS, alla Conferenza di Rio del 1992, per salvaguardare questi patrimoni naturali, ciò ha incentivato la nascita di alcune organizzazioni come il Forest Stewardship Council, finalizzate alla tutela e alla salvaguardia dei patrimoni boschivi.

È necessario che ci si convinca – anche in termini meramente capitalistici, magari – che vale la pena di espandersi e di consumare un po’ meno, perché l’uomo resti uomo.

– Giorgio Bassani

Emanuele Marino
Emanuele Marino
Giornalista pubblicista, nonché studente universitario iscritto alla facoltà di Lettere Moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II