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Totò lirico, il canzoniere oltre “A’ livella”

La penna di Totò, al secolo principe di Bisanzio Antonio de Curtis è rinomata per aver dato alla canzone napoletana alcune delle sue indimenticabili gemme, come “Malafemmena” oppure “Core analfabeta” eseguita nel film “Uomini e Caporali”.

Ma nei momenti di stasi dall’obiettivo, nel privato, la penna di Totò è stata largamente versatile anche nella lirica, con una forma dialettale e in modi polimetrici, capace di dare musicalità ad alcune tematiche extratemporali, culminanti con una sentenziosità tra la massima proverbiale e l’aforisma.

Se “A’ livella” è il testo lirico che prettamente correlato all’immagine di Totò poeta, in verità l’attenzione critica ha fatto un buon lavoro nel riscoprire una verve che innesta un mero canzoniere.

A dar risalto alla poesia di Totò è servito inizialmente lo sforzo ermeneutico di Antonio Ghirelli per il volume cult della Newton Compton, seguito recentemente dal lavoro di Elena Anticoli de Curtis e Virgina Falconetti.

In un leitmotiv forte, Totò lirico discutere del paradosso vita-morte, dei ruoli sociali e delle ingiustizie, sull’ethos partenopeo ma ancor più dell’uomo ultimo che si scaglia contro la modernità e della perdita del microcosmo della napoletanità.

Numerosi sono gli iperonimi caratteristici trattati dal de Curtis, come il garzone da bottega de “A’ Cunzegna”, in cui viene a discorrere delle abitudini sociali presenti dietro il caffè; il becchino de “O’ schiattamuorto”, oppure dell’uomo tradito de la “Filosofia del cornuto” in cui demistifica le medesime personificazioni sociali quasi anticipante il mito de “A livella” con un azzeramento di ogni forma proto-pirandelliana.

Lo scenario napoletano richiamato dal linguaggio dialettale si apre a ventaglio su situazioni e vicende che toccano l’uomo in tutta la sua antifrastica grande miseria.

Lo stesso ruolo comico, magistralmente interpretato dal principe della risata è soggetto all’introspezione lirica nella “Preghiera del clown”, (in italiano) ove con una forma ai limiti del prosastico e del salmodiante discende nella discussione dell’humor, del rapporto col pubblico,  smarrendo il lazzo e il gioco di parole caratteristico e diviene analisi dell’uomo e dell’arte dinanzi alla perdita del self.

Variegati sono i testi lirici che Totò dedica alla tematica amorosa, come la struggente “A’ passiona mia eran é rrose”, senhal dell’innamoramento e della perdita dell’oggetto amato; altro senhal adottato è quello degli occhi che si allegano al riso senza volto di un riflesso angelicato e terrestre de “Essa”.

 

 

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."