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domenica, 1 Ottobre 2023

Tornano in fabbrica gli operai Yue Yuen

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Mariapia Grassano
Mariapia Grassano
Lucana d.o.c. e campana d’adozione, mi occupo di comunicazione e web. Pasticcio in cucina e sono una felice neomamma.

Gran parte degli operai dell’holding calzaturiera cinese Yue Yuen sono tornati a lavoro. Le Ong impegnate nel riconoscimento dei diritti degli operai riferiscono che il ritorno all’attività lavorativa è stato determinato dalla concessione da parte dell’azienda di alcune rivendicazioni dei lavoratori.

Lo sciopero avvenuto nella regione del Guandong, che ha interessato circa 30.000 dipendenti del colosso cinese, a causa di contratti di lavoro inadeguati, del mancato pagamento per le spese immobiliari e dell’assicurazione sociale, è durato circa 10 giorni e ha prodotto una notevole ricaduta in Occidente. La Yue Yuen infatti produce ogni anno circa 300 milioni di calzature per grandi marchi come Reebok, Nike e Adidas.

Alla base delle proteste, oltre alla richiesta di condizioni di lavoro più adeguate, vi sarebbero altri due fattori di cruciale importanza. Il primo riguarda il rischio di delocalizzazione delle fabbriche in Cambogia, Thailandia e Vietnam, al fine di ridurre i costi legati alla produzione; mentre il secondo è relativo all’impossibilità di trasferire l’assicurazione sociale da un luogo all’altro, a causa dell’hukou. Quest’ultimo non è altro che un sistema di registrazione di residenza, istituito nel 1958 al fine di distinguere la popolazione rurale da quella urbana. Il motivo per cui lo stato maoista applicò un simile meccanismo di controllo risiede nell’imposizione del controllo sugli spostamenti della popolazione, al fine di arginare una caotica e massiccia urbanizzazione. Nagli anni ’80 però il minor controllo sui flussi migratori e la conservazione del sistema hokou ha generato la manodopera a basso costo che caratterizza l’economia del colosso orientale.

Negli ultimi anni le cose stanno cambiando rapidamente e la maggiore presa di coscienza da parte della classe operaia cinese lascia presupporre l’avvio di una stagione di riforme imprescindibili. La diminuzione delle importazioni da parte dei paesi occidentali, complice la crisi dei consumi, determina la necessità di sviluppare un mercato interno, che può essere alimentato solo con l’annullamento dell’anacronistico hukou e con il riconoscimento dei diritti necessari per i lavoratori.

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