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Maradona mondiale.

Il mondiale di calcio del 1986 che si tenne in Messico fu un monologo solitario di un dittatore in scarpette e pantaloncini che si prese il suo sogno con la cocciutaggine di un bambino che se l’era promesso e se lo regalò, proprio come aveva raccontato in una famosa intervista, quando aveva solo 9 anni. Si, quello scricciolo che raccontava delle sue ambizioni era Diego Armando Maradona, l’anarchico, il solista, quello che non sapeva vincere. Allora perchè poi si stropicciarono gli occhi coloro che affermavano queste teorie? Perchè giocarono a nascondino quel 29 di giugno quando il bimbo si prese il mondo nell’identico modo in cui lo aveva immaginato da piccolo, da mattatore, da eroe che combatteva contro avversari italiani, belgi, inglesi e tedeschi, con la maglia dell’ albiceleste addosso? Le serpentine, le “rabone”, i colpi di genio insomma, messi al servizio della sua Argentina che seguiva ferma, trasognata, timorosa quasi, che quello fosse solo lo scherzo pesante di una visione onirica troppo bella per essere vera. Le aspirazioni di un popolo esaltate come mai era accaduto prima, nemmeno otto anni prima, era il 1978, nel “mundial” delle ombre vinto nella capitale Buenos Aires per 3-1 contro i profeti del calcio totale, gli olandesi orfani di Cruijff. La felicità gratis ad una nazione che una volta tanto non doveva pagare nessun conto a chicchessia, invitata al tavolo del talento traboccante del più piccolo dei suoi cittadini, con le spalle di un gigante e i piedi di un artista.