Stefano Cucchi, ad oramai nove anni dal decesso, rappresenta uno dei casi più scabrosi della cronaca nera italiana.
E’ la sera del 15 ottobre 2009 quando il giovane, residente nella periferia romana, venne sorpreso da una pattuglia di Carabinieri mentre scambiava con un altro individuo un pacchettino trasparente con una banconota.
In quella confezione plastificata si scoprì esserci dell’hashish. Cucchi ne custodiva ben 12 di diverse misure, altri 3 di cocaina ed infine un medicinale per curare l’epilessia di cui soffriva.
Il giudice decreta per Stefano la custodia cautelare nel carcere di Roma di “Regina Coeli” lì dove, secondo gli inquirenti, Cucchi sarebbe stato vittima di percosse talmente brutali da procurargli ematomi perioculari, ecchimosi alle gambe, nonché traumi alla colonna vertebrale e toracici.
Al suo ingresso in “Regina Coeli”, Stefano Cucchi pesa circa 50 kg per 162 cm di altezza. Il 22 ottobre 2009, appena dopo 7 giorni di custodia cautelare, il suo indice di massa corporea è drammaticamente diminuito: 37 kg, ben 13 kg persi.
L’autopsia dimostrerà che Stefano Cucchi era stato lasciato in uno stato di abbandono totale, denutrito, pestato con violenza e senza assistenza sanitaria (il fegato era in pezzi, e la vescica conteneva 1400 millilitri di urina, ben oltre la massima capacità raggiungibile dalla stessa).
” Dati i fatti che hanno creato così tanto scalpore nell’opinione pubblica si è resa quantomai necessaria la pubblica visione di “Sulla mia pelle”” , questo il pensiero di Alessio Cremonini, autore del lungometraggio.
Il docufilm è uscito ieri su Netflix e nei multisala italiani e, per il motivo sopracitato, sono state numerose le iniziative promosse dall’Acad (Associazione contro gli abusi in divisa), da collegi universitari e sodalizi che portano il nome di Stefano Cucchi affinché fosse possibile la proiezione della pellicola in ogni luogo in Italia, privato o pubblico che fosse.
L’importanza che la storia di Cucchi sia conosciuta e riconosciuta da ognuno di noi sta nel fatto che “quando venne assassinato noi avevamo più o meno l’età di Stefano, ci ritrovavamo in un locale di San Lorenzo a Roma tutte le sere. Seguimmo con apprensione quella tragica vicenda sin dalle prime ore, decidemmo che era doveroso raccontarla” – scrive TerraNullius, collettivo di autori attivo dal 2003 – “tutti per un momento avevamo pensato: “poteva capitare anche noi, a chiunque, tutti devono sapere””.
Nonostante il motivo morale e le fattezze querelanti a scopo informativo della vicenda, Facebook, Netflix e Lucky Red hanno segnalato e denunciato la trasmissione collettiva del film per il mancato rispetto delle norme sul copyright.
La presa di posizione da parte dei colossi del mondo social e del piccolo e grande cinema hanno alimentato le polemiche già in essere e si sono dovute fronteggiare con quelle innescate sui profili Facebook di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, e Jasmine Trinca, alter ego di Ilaria nel film: “Noi non abbiamo voce in capitolo, possiamo forse comprenderne le ragioni ma mi dispiace e non poco. La storia di Stefano deve essere conosciuta e deve restare nella memoria di tutti noi”.
A dar man forte ad Ilaria e Jasmine sono le dichiarazioni fatte da Luca Moretti e Toni Bruno, autori di “Non mi uccise la morte” e che hanno ceduto tutti i diritti del libro ad Acad, l’associazione nata proprio per fare in modo che le vicende come quella di Stefano non si ripetano più. “Quando abbiamo saputo da Ilaria che Netflix stava preparando un film che raccontava, a distanza di anni, gli ultimi tragici giorni di Stefano, siamo stati contenti che quella storia, grazie alla perseveranza, alla forza e all’abnegazione della famiglia Cucchi, continuava a circolare, a riprodursi, a raccontare, a prevenire, a combattere. In questi giorni apprendiamo che la produzione del film ha bloccato una serie di proiezioni collettive che definisce “illegali” e ha dato mandato a Facebook perché ne oscurasse i relativi eventi a favore di quelli che definisce ufficiali e della programmazione sulla piattaforma Netflix”.
Polemiche e dissidi a parte, ad oggi, in seguito a numerose indagini e processi a carico di medici e infermieri dell’ospedale “Sandro Pertini” (dove Cucchi venne visitato durante la custodia cautelare e locus mortis) e degli agenti penitenziari di “Regina Coeli”, l’appello-bis ha scagionato le autorità sanitarie perché “il fatto non sussiste”, mentre nell’inchiesta-bis dell’appello sono stati rinviati a giudizio 5 Carabinieri (10 luglio 2017) per abuso d’autorità e omicidio preterintenzionale.