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Allenatori: il lato oscuro del successo.

Il successo per i mortali è più di un dio, lo diceva Eschilo appena appena 2500 anni fa all’incirca e non c’è niente più del successo che ci possa far sentire onnipotenti, di quella onnipotenza che non ammette contraddittorio, che esalta l’esiziale solitudine e la fa apparire come forza anche quando forza non è. Gli uomini di successo sono più soli di quanto non si creda, anche gli allenatori di calcio, per questo alcuni di loro si presentano con il numero di trofei vinti; alla Mourinho diciamo…”salve , sono mister “due Champions League”…piacere sono il signor “mondiale Fifa” e via dicendo. Si sono visti negli anni cambiamenti da non credere in trainer che da persone umili, oppure assennate, si sono trasformati in orsi arrabbiati a cui non potevi domandare nulla senza urtare una suscettibilità da vetro di Boemia che non a caso risulta prezioso (sono bravissimi a fare il loro mestiere), ma estremamente delicato. Quanto più bravi sono, tanto più rischiano di essere posseduti dal loro delirio di “intoccabili”; anche se capiscono bene che il lavoro lo deve fare pure quel gran guastafeste del cronista, amano rispondere solo alle domande garbate e guai a mettere dito in qualsivoglia piaga, piaghetta o graffio che sia. Spesso e volentieri nelle interviste dei dopo-partita mi sembra di vedere l’inconsapevole spettatore di un circo (il giornalista) che è chiuso nella gabbia con il leone (l’allenatore) e che cerca in tutti i modi di non farlo arrabbiare. Non sembra il caso di fare i nomi degli allenatori che negli anni si sono contraddistinti per questo comportamento ai limiti dell’esecrabile, molti dei lettori si saranno fatti delle idee, ma mi sembra giusto menzionare alcuni di quelli che invece, nonostante i successi hanno fatto della buona educazione un loro alleato. Il primo che mi viene in mente è Rafa Benitez, campione d’Europa con il Liverpool e del mondo con l’Inter, che con la sua pacatezza ha dato lezione di stile nei momenti belli così come in quelli brutti senza mai alterarsi per le domande scomode che gli venivano rivolte, Arrigo Sacchi che, per quello che ha vinto e per come lo ha vinto, avrebbe dovuto issarsi così in alto che per fargli un’intervista, ancora oggi, ci vorrebbe un super-megafono e che non è mai scaduto in comportamenti superbi tanto da rispondere in modo maleducato a chicchessia ed Enzo Bearzot, indimenticabile C.T. della nazionale di calcio italiana del 1982, forse il selezionatore più criticato di tutti i tempi, campione del mondo in Spagna e campione del mondo di signorilità e coerenza che dopo il trionfo iridato avrebbe potuto far crocifiggere i suoi detrattori pre-mundial quando impunemuente salirono sul carro di chi non solo vinse ma lo seppe fare da grande gentiluomo.