Continuano le offensive nella striscia di Gaza contro Hamas, dove all’alba un’operazione militare con raid aerei e navali, ribattezzata “Operation Protective Edge”, ha colpito 50 obiettivi, causando la morte di 13 persone e circa 90 feriti; l’esercito israeliano si appresta ad attuare un’operazione di terra.
Tra le vittime identificate c’è Ashraf Yassin, attivista della brigate Ezzedine al-Qassam, ossia la forza militare di Hamas; altri 3 palestinesi sono stati presi di mira dagli israeliani mentre si trovavano nella loro auto in via al-Wahda, tra questi probabilmente c’era Mohammad Shaaban, il comandante 24enne delle forze navali di Hamas, ma sono ancora ignote le identità dei 3 malcapitati.
Un’altra strage aerea ha coinvolto anche il sud di Gaza, precisamente a Khan Yunis, dove un F-16 ha scagliato un raid colpendo la casa al-Kawara, ossia la famiglia strettamente legata ai militanti di Hamas: ammontano a 7 i morti di tale eccidio, tra cui donne e bambini utilizzati, come dichiarato dalla stampa israeliana, come “scudi umani” per difendersi dagli attacchi aerei; 9 sono state le persone ferite, un numero ‘ridotto’ sembra grazie ad una telefonata dell’Intelligence di Israele che ha avvertito del rischio, permettendo l’evacuazione degli edifici nella zona.
Anche a Shejaiya, nella zona orientale, non sono mancati attacchi raid, con il conseguente ferimento di molti presenti.
Hamas non ha esitato a reagire e durante la mattinata di oggi ha lanciato circa 20 razzi su diverse città del Neghev. Le parole di Netanyahu, il primo ministro dello stato di Israele, non sono state di pacificazione: “non tratteremo più Hamas con i guanti. Hamas ha scelto l’escalation e pagherà un prezzo pesante per averlo fatto”; e la risposta di Sami Abu, portavoce di Hamas, ha proseguito sullo stesso tono: “tutti gli israeliani sono obiettivi legittimi perché il massacro di bambini a Khan Yunis è un crimine di guerra orribile”, a cui è seguito il comunicato delle Brigate Ezzedine in cui si preannuncia un “terremoto” di bombardamenti contro case e persone; Abu Obeida, portavoce dei militanti di Hamas, ha suggerito agli abitanti di provvedere quanto prima all’allontanamento dalle loro abitazioni in vista di un ampliamento del “raggio d’azione dei nostri razzi”, partendo da Tel Aviv e proseguendo via via per le altre città.
Il comune della capitale ha pertanto spalancato le porte dei rifugi e dirottato gli arrivi all’aeroporto Ben Gurion verso nord, mentre il Ministro della Difesa, Moshe Yaalon, ha dichiarato lo stato di emergenza nella zona più a sud preannunciando un’espansione dell’operazione “con tutto quello che abbiamo a disposizione per colpire Hamas”. A nulla è valsa la presenza del Papa in Terra Santa, ormai la guerra sembra arrivata ad un punto di non ritorno.
La Lega Araba ha richiesto un’immediata riunione dell’intero Consiglio di Sicurezza dell’Onu dopo che Mouhammad Abbas, presidente dell’Autorità nazionale della Palestina, ha chiesto di “intervenire subito per fermare una pericolosa escalation che può portare solo distruzione e instabilità nella regione”.
Nel frattempo, il colonnello Peter Lerner, il portavoce dell’esercito di Israele, ha comunicato la possibilità di implementare l’operazione con forze via terra, richiamando all’ordine circa 40mila riservisti, oltre ai 1.500 già richiamati ieri.
Intanto il presidente Barack Obama si è schierato dalla parte di Mahmoud Abbas elogiandolo come “una controparte impegnata per una soluzione a due Stati e una sicura collaborazione”: nel suo editoriale pubblicato su Haaretz, il quotidiano israeliano, Obama ha lanciato lo slogan “basta vendette”, al fine di “proteggere gli innocenti e agire con ragionevolezza e moderazione, non con vendetta e rappresaglia”, ma in nessun capoverso il presidente scrive un messaggio di appoggio verso il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Per smorzare la tensione e l’imbarazzo di uno schieramento netto a favore di Abbas, la Casa Bianca ha comunicato che l’editoriale in questione era stato scritto nei giorni precedenti al 30 giugno al fine di trattare dei colloqui di pace, aggiornato poi in seguito ai nuovi scontri. I piani di pacificazione degli Stati Uniti sono crollati sotto le grida di dolore delle vittime delle rappresaglie ma Obama promette che non ci sarà una rinuncia: “quando esisterà una politica di nuovo impegno in seri negoziati, gli Stati Uniti saranno lì, pronti a fare la loro parte”, ha affermato il presidente, senza però menzionare neanche una volta la triste vicenda di Tariq Abu Khdeir, il ragazzo palestinese bruciato vivo.