“L’industria italiana è malata”, avverte il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. “I suoi mali sono antichi e si sono via via aggravati nell’allargarsi della competizione globale. Oggi viviamo tutti una fase di grande preoccupazione e per troppo tempo abbiamo trasmesso ai più giovani un senso di abbandono e sfiducia. L’Italia resta la seconda manifattura europea e una delle prime dieci del mondo. Il suo contributo al PIL nazionale diretto è di circa il 17%, il doppio se si considerano i servizi collegati. Circa 8 milioni di italiani vivono di industria. Tuttavia l’industria italiana è malata, un modello di specializzazione tradizionale, una produttività cresciuta troppo poco, scarso livello di digitalizzazione, scarsa integrazione con i servizi, livelli di conoscenza della manodopera insufficienti”.
I numeri della crisi sono estremamente preoccupanti, infatti, il leader di Confindustria parla di 80mila imprese di trasformazione scomparse e di un milione di posti di lavoro persi.
“Ma la crisi – continua Squinzi – ha avuto anche degli effetti benefici, perché molti imprenditori hanno cambiato cultura, atteggiamento e marcia. L’export italiano continua la sua marcia positiva. Una parte importante dell’industria italiana ha capito il cambiamento e cerca di governarne le dinamiche. Chi di noi ha investito sui giovani e sul loro sapere è stato ampiamente ripagato. Il sapere, la ricerca e l’investimento sui giovani rende”.