“Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori […]” così recita il bardo inglese Shakespeare, attraverso il personaggio di Iacopo nella commedia pastorale “Come vi piace” (As you like it), citazione che è entrata nel cuore del direttore artistico Gianmarco Cesario che, nel dare il nome alla celebrazione dei 450 anni dalla nascita di Shakespeare, attraverso cinque spettacoli unici, ha scelto proprio il nome di “Tutto il mondo è palcoscenico”.
Non poteva mancare una manifestazione a Napoli che ricordasse i 450 anni dalla nascita del bardo e dunque ecco nascere un’intensa settimana di spettacoli, che avranno luogo al Teatro San Carluccio nel cuore di Napoli, dal 21 al 25 maggio, presentata da Centro Studi Nextra e dall’Associazione Culturale Extravagantes. Alla base dell’omaggio all’autore teatrale più famoso di tutti i tempi c’è la volontà di portare in scena delle opere che si ispirino ad alcuni suoi masterpieces come Amleto, Otello e Riccardo III, ma riadattati in senso più strettamente ‘giocoso’, dei playing Shakespeare, giocando sul doppiosenso della recitazione e del gioco che questo verbo, allo stesso tempo rappresenta e dunque rivisitarli in chiave partenopea. Ad aprire la rassegna ci sarà lo spettacolo “Shakespeare is Love”, elemento unico che vedrà l’accompagnamento di un’arpa alla recitazione dei dialoghi teatrali più brillanti e alla lettura dei suoi sonetti più famosi, per dedicare una serata a tutto tondo all’autore inglese. Al direttore artistico Cesario abbiamo quindi rivolto le nostre domande.
Signor Cesario, perchè ha scelto di inserire una lettura all’interno del primo spettacolo?
«La lettura in “Shakespeare is Love” è riservata solo ai sonetti di Shakespeare, poi ci sono dei dialoghi e dei monologhi tratti dalla drammaturgia e viene presentato tutto in maniera inconsueta: l’attore che reciterà Amleto pronuncerà la sua famosissima battuta “essere o non essere” come se fosse una conferenza, cambiando la tonalità dell’interpretazione man mano che si lascia infervorare da quello che dice; il monologo tratto da “Otello” è recitato in inglese, in lingua originale; da “La dodicesima notte” il monologo di Orsino sarà musicato; da “Macbeth”, il dialogo tra Lady Macbeth e Macbeth sarà come un dialogo tra due mafiosi siciliani; da “La bisbetica domata” ci sarà un dialogo estremizzato nella sua comicità: un gioco, perché si è voluto creare un playing Shakespeare, dove playing significa voler recitare, ma anche giocare con, Shakespeare.»
Quale filo conduttore collega le opere che sono state scelte per questa rassegna?
«Il filo conduttore è proprio ‘rivedere’ Shakespeare, cioè riconoscere le opportunità che dà la drammaturgia shakesperiana per essere reinterpretata, rivisitata, contemporaneizzata. Anche “Otello”, che può sembrare uno dei testi più classici di Shakespeare, è presentato nella sua integrità classica per quanto riguarda la parte testuale, ma è recitato secondo i dettami della “commedia degli equivoci”, in maniera comica, cosa del tutto incosueta rispetto all’opera che conosciamo, ma poiché i presupposti ci sono tutti, il tradimento; lo scambio di persona; l’intrigo; la mezzana, c’è tutto quello che potrebbe essere una “commedia all’italiana”, quasi machiavelliana, come “La Mandragola”, e quindi è stato proposto questo gioco nell’interpretazione dell’Otello.
Il preludio del “Riccardo III” è tutto quello che anticipa l’escalation di omicidi che porterà Riccardo III a diventare re, seppur per brevissimo tempo: sono tutti ‘giochi’.
“Franceschiello”, l’ultimo re dei Borboni, è paragonato ad Amleto, quindi c’è il testo dell’Amleto però in napoletano e recitato da un attore che è Franceschiello, non è Amleto, ma le battute sono dell’opera inglese. Quindi sono delle trasformazioni, delle contaminazioni, dei giochi.»
Fotografie di Dino Castaldo.