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San Lorenzo Maggiore, la storia attraverso la basilica

La storia della basilica di San Lorenzo Maggiore, così come la conosciamo oggi, inizia a partire dal 1235, quando il papa Gregorio IX concesse l’edificazione di una chiesa dedicata a san Lorenzo all’interno della città. All’epoca esistevano in città altre cinque chiese dedicate al santo, insieme a quella di epoca paleocristiana del Foro, la quale venne assegnata ai frati francescani come edificio sul quale sarebbe nato il nuovo tempio.

Carlo I d’Angiò sovvenzionò a partire dal 1270, poco dopo la sua vittoria su Manfredi, la ricostruzione della basilica e del convento.

La struttura presenta tratti propri dello stile gotico francese, altri propri di quello francescano, a dimostrare il susseguirsi di maestranze all’interno della struttura. Ad architetti francesi si deve l’abside, prima parte edificata della chiesa, unica nel suo genere in tutta Italia perché classico di gotico francese, la zona del transetto e della navata sono caratterizzate invece da uno stile maggiormente improntato al gotico italiano.

La basilica fu teatro di eventi storici fondamentali per la città ed il regno. Qui fu consacrato sacerdote San Ludovico da Tolosa, che rinunciò al trono del padre Carlo II d’Angiò, per favorire il fratello Roberto d’Angiò, così come Felice Peretti, vescovo di Sant’Agata de’ Goti, ed il futuro papa Sisto V.

Nel 1343 è attestato un soggiorno di Francesco Petrarca nel convento. Egli stesso documentò in una lettera all’amico Giovanni Colonna, in cui descrisse il maremoto che colpì la città. Sembra che Giovanni Boccaccio si fosse qui innamorato della bella Maria d’Aquino, figlia del re Roberto d’Angiò, che divenne sua musa ispiratrice con il nome di Fiammetta, dopo averla vista nella basilica durante la messa del sabato santo del 1334.

Dal XVI secolo la basilica fu oggetto di numerosi rimaneggiamenti, dovuti anche ai danni derivanti da eventi storici che colpirono la città. Il chiostro fu deposito di armi dei Viceré spagnoli, nel 1547 il campanile fu assediato dal popolo in rivolta contro Pedro de Toledo, poi nel secolo successivo, nel 1647, i seguaci di Masaniello resero la torre campanaria un avamposto di artiglieria contro gli spagnoli.

Ci furono poi lavori di adeguamento nel XVII e nel XVIII secolo, che portarono all’inserimento di elementi barocchi nella facciata della chiesa, totalmente modificata nel 1742.

Successivamente, poi, a partire dal 1882, ci furono numerosi interventi, più volte interrotti e ripresi, che terminarono nella seconda metà del XX secolo, volti ad eliminare le aggiunte barocche, seppur con le dovute eccezioni.

Anche nel XX secolo furono eseguite opere di rimaneggiamento della struttura, come l’intervento di consolidamento per bloccare il crollo delle mura attraverso un contrafforte e opere di cemento armato, effettuato da Rusconi.

Il convento di San Lorenzo è una struttura adiacente alla chiesa, del quale alcune sale interne sono state destinate ad ospitare il Museo dell’Opera omonimo. Alcune di esse conservano ancora l’aspetto originario, come ad esempio la sala Capitolare e quella Sisto V, accessibili dal chiostro monumentale.

Nell’area sottostante il convento si ritrovano i resti archeologici dell’antico foro romano.

Il chiostro di San Lorenzo Maggiore è una spettacolare testimonianza di epoca settecentesca emergente sui resti del macellum romano. Al centro di esso si ritrova un pregevole pozzo di marmo e piperno scolpito da Cosimo Fanzago, lungo le pareti ci sono invece alcuni monumenti funebri rinascimentali. Da qui si effettua l’accesso agli scavi archeologici della basilica, alle restanti sale del convento ed al Museo dell’Opera.

La sala Capitolare, che presenta una volta a crociera, fu realizzata durante il periodo svevo, nel periodo dal 1234 al 1266. Essa fu affrescata da Luigi Rodriguez nel 1608, che vi rappresentò anche l’Albero francescano. Qui si svolgevano le riunioni dei frati per la discussione riguardo le decisioni da prendere per il funzionamento del monastero, inoltre vi costituivano assemblea i seggi cittadini.

La sala Sisto V, l’enorme refettorio lungo 40 metri e largo 10, accessibile tramite il chiostro, venne affrescato anch’esso da Luigi Rodriguez intorno al XVII secolo, che vi rappresentò le Sette virtù reali, affiancate da altre Virtù minori, mentre nelle lunette sono raffigurate le Province napoletane. Nel 1442 la sala fu sede del parlamento napoletano.

Il portale gotico permette la visione degli originali battenti lignei trecenteschi, ciascuno in uno stato di conservazione discreto, suddivisi in 48 riquadri.

La facciata risale al 1742, in piena epoca barocca, ed è opera del Sanfelice. Sul lato destro della chiesa si trovano il convento e il campanile del secolo XV, quest’ultimo con forma quasi quadrata ed a quattro piani. Esso non è originale, ma fu eretto a più riprese in sostituzione di quello preesistente.

Il portale d’ingresso del convento è della seconda metà del Quattrocento. L’opera marmorea è sormontata da un balconcino di fine Seicento di Lorenzo Vaccaro. A partire dal XIX secolo, sopra di esso, sono esposti gli stemmi della città e dei sedili di Napoli, a partire da quello in alto a destra: il cavallo, per il sedile del Nilo, la figura umana, per il sedile di Porto, la porta d’oro per il sedile di Portanova, la P, per Populus indica il sedile del Popolo, la Y, per il sedile di Forcella, l’immagine dei monti, per il sedile di Montagna e infine, in alto a sinistra, un altro cavallo, per il sedile di Capuana.

La basilica ha una pianta a croce latina lunga circa 80 metri, presenta cappelle laterali che si affacciano sull’unica navata coperta a capriate come il transetto. La controfacciata vede sulla destra il sepolcro di Giambattista della Porta, mentre sormonta il portale d’ingresso una Allegoria francescana di Francesco Curia.

Erano contenute nella basilica, prima che venissero spostate al Museo nazionale di Capodimonte, le due tavole di Colantonio, San Gerolamo nello studio, del 1444 circa, e la Consegna della regola francescana, del 1445 circa. Nell’ottava cappella sulla destra c’era il San Ludovico di Tolosa incorona il fratello Roberto d’Angiò di Simone Martini del 1317.

In essa si trovano però le spoglie di personalità partenopee di spicco, come il già citato filosofo e commediografo Giovanni Battista Della Porta, Giovanni Barrile, letterato amico del Petrarca, il cui sepolcro è nel deambulatorio, il marchese Giovanni Battista Manso ed il musicista Francesco Durante.

Le cappelle laterali sono sedici otto per lato, eterogenee nel gusto e dimensione non tutte colme di opere, anche se il dominio assoluto è dello stile gotico, i lavori furono realizzati da artisti di scuola francese o napoletana. Esse hanno però un elemento comune, sono tutte aperte sulla navata tramite archi acuti, con l’unica eccezione della terza di destra, che si apre con un arco marmoreo a tutto sesto proprio del barocco napoletano.

Tra le cappelle laterali più importanti bisogna citare, nel lato sinistro, la prima cappella, che presenta i monumenti sepolcrali alla famiglia Carmignano dal XIV al XVIII secolo e una tela di Francesco De Mura raffigurante L’Angelo Custode, la seconda con rifacimenti in marmo di stile barocco di Giorgio Marmorano, che creò anche l’altare maggiore, mentre la pala dell’Immacolata è opera di Paolo Finoglia. La quarta, che ospita un’Adorazione dei Magi di Marco dal Pino, composta tra il 1551 e 1568 per la chiesa del Gesù Vecchio. La quinta, corridoio d’uscita laterale della chiesa, su via dei Tribunali, ai cui lati mostra dei monumenti funebri cinquecenteschi attribuiti a Giovan Tommaso Malvito. La sesta che presenta i monumenti funebri alla famiglia Pignone. L’ottava invece mostra i monumenti funebri, sempre cinquecenteschi, di Romolo Balsimelli per Vito e Giacomo Pisanelli.

Tra le più importanti cappelle di destra, invece, bisogna ricordare la prima, con il monumento sepolcrale di Ludovico Aldomorisco, dello scultore Antonio Baboccio da Piperno. La seconda, di proprietà della famiglia Cacace, in stile barocco, decorata da Cosimo Fanzago, contiene le tombe della famiglia con busti e statue eseguite da Andrea Bolgi intorno al 1653. Sulla parete frontale c’è una Madonna del Rosario di Massimo Stanzione, mentre la volta è affrescata da Niccolò de Simone. La terza che ospita un polittico rinascimentale in terracotta di Domenico Napoletano con scene della Madonna col Bambino e san Rocco e san Marco, e una Pietà. La quarta affrescata da Onofrio de Lione e Luigi Rodriguez. La quinta, dove si trovano resti di affreschi trecenteschi alle pareti e due monumenti funebri cinquecenteschi o seicenteschi. La sesta dove è possibile ammirare il monumento funebre tardo-quattrocentesco di Alberico Bacio Terracina di scultore ignoto. La settima, che ospita una tela del pittore romano Giuseppe Giampedi del 1778.

Nella campata separativa tra la settima cappella ed il vano che porta al chiostro c’è un pulpito cinquecentesco che mostra, sul fronte principale, un rilievo raffigurante Santa Caterina d’Alessandria davanti al tiranno Massimino e un altarino sottostante su cui si trova la tavola raffigurante La Madonna con il Bambino tra i Santi Caterina d’Alessandria e Stefano.

Nel lato sinistro del transetto, ai lati dei due monumenti funebri del XIV secolo a Carlo di Durazzo e Roberto d’Artois e Giovanna di Durazzo, c’è il cappellone di Sant’Antonio, di stile barocco ad opera di Cosimo Fanzago, realizzato nel 1638. In esso si trovano i dipinti di Francesco Di Maria con il Redentore a sinistra e l’Assunta a destra, nonché due tele di Mattia Preti, Madonna col Bambino e Sante Francescane e Crocifisso adorato da San Francesco. Centrale è la tavola del 1438 di Leonardo da Besozzo raffigurante Sant’Antonio e gli angeli,con un rifacimento della figura del santo da ignoto maestro.

Nel lato destro del transetto si trovano invece diverse testimonianze pittoriche originali della chiesa, come i Cicli di affreschi trecenteschi di Montano d’Arezzo, e molte altre sculture coeve, come il Monumento funerario di Carlo di Durazzo, giustiziato nel 1348 dal re Luigi d’Ungheria, l’iscrizione riporta erroneamente re la data 1347, il monumento a Ludovico Caracciolo, datato 1335.

Sono puramente cinquecenteschi i monumenti sepolcrali alla famiglia Cicinelli di Salvatore Caccavello, allievo e parente di Annibale Caccavello, un altorilievo di Giovanni da Nola raffigurante la Madonna col Bambino ed Angeli ed il sepolcro di Giovanni Antonio Pisanello di ignoto.

L’abside, di mano incerta, è di chiara impostazione gotica francese, unicum architettonico in tutta Italia, con l’alto presbiterio a costoloni slanciato da dieci pilastri polistili che aprono arcate dietro le quali scorre il notevole deambulatorio a volte a crociera, su cui a loro volta si affacciano nove cappelle, quadrate le prime due alle estremità e poligonali le altre che ruotano alle spalle dell’abside.

L’altare maggiore, di epoca rinascimentale è dello scultore napoletano Giovanni da Nola. Sono visibili nella parte superiore le statue dei santi Lorenzo, Antonio e Francesco, nella parte inferiore lo scultore decise di raffigurare Il Martirio di San Lorenzo, San Francesco con il lupo di Gubbio e Sant’Antonio che parla ai pesci, sullo sfondo di una Napoli rinascimentale,rendendo l’opera di grande valore documentario ed artistico.

All’altezza della prima arcata sul lato destro, si trova il Sepolcro di Caterina d’Austria, prima moglie del duca Carlo di Calabria, figlio di re Roberto d’Angiò, prima opera napoletana di Tino di Camaino. Di fronte sono presenti affreschi di ignoti giotteschi con Storie della Maddalena. Dalla cappella si accede alla sacrestia, affrescata da Luigi Rodriguez, collegata con la sala Capitolare del convento.

Sotto la chiesa di San Lorenzo Maggiore si trova, a circa 10 metri di profondità, una vera e propria area archeologica con cardine di epoca romana, il segno dell’antica suddivisione del nucleo storico cittadino, perfettamente conservato. Su di esso si affacciano alcune antiche botteghe facenti parte del macellum, mercato, di epoca romana.

La struttura antica presentava al centro un’edicola colonnata, con la forma di piccolo tempio circolare a tholos, che doveva ospitare una fontana, come provano i resti dell’impianto per lo scarico dell’acqua. Ai lati dell’attuale chiostro si aprivano dei porticati con ambienti sul fondo, destinati a bottega, il macellum era organizzato a terrazzamenti, adattandosi alla particolare conformazione del terreno.

Tra le antiche taverne rinvenute sono riscontrabili una lavanderia con le vasche per la pulizia, una pescheria, riconoscibile dall’inclinazione dei banchi per permettere lo scorrere dell’acqua dal pescato fresco ed un forno.

Rinvenuto anche l’Aerarium, in un tratto di strada lungo circa 60 metri nella zona dove oggi sorge il corrispondente vico Giganti, ossia il luogo dove veniva custodito il tesoro cittadino, con i segni delle sbarre di ferro poste alle finestre ancora visibili, nonché con i segni di una porta di sicurezza che dava accesso ad una sorta di camera blindata, dove presumibilmente veniva conservato l’oro cittadino. Bisogna poi ricordare anche le condutture per l’approvvigionamento idrico del mercato, rinvenute in ottimo stato di conservazione, collegate ai resti di una grande cisterna di epoca greca ed alla presenza di un Criptoportico

Gli scavi sono iniziati iniziati nel 1976 ed hanno riportato alla luce parte della Neapolis greco-romana, in corrispondenza dell’antico decumano maggiore.

La stratificazione degli scavi ha permesso un’attendibile ricostruzione delle varie fasi storiche della città, con strutture sia di epoca greca risalenti al IV secolo a.C., che di età imperiale, risalenti al I secolo d.C..

Nel corso dei secoli l’area subì notevoli mutamenti, come prova ad esempio la sovrapposizione di una basilica paleocristiana del VI secolo, la cui pavimentazione musiva è tuttora visibile in parte sotto il transetto della basilica.

Emanuele Marino
Emanuele Marino
Giornalista pubblicista, nonché studente universitario iscritto alla facoltà di Lettere Moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II