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Romeo and Juliet, la frattura tra poesia e storia

Romeo and Juliet di William Shakespeare è divenuta opera emblematica della penna del genio del Bardo immortale. 

Eppure Romeo and Juliet nasconde una crostadi ipotesti -in primis dovuto alla miscellanea di traduzioni di The Palace of Pleasure del 1566-67 contenente Bandello, Boccaccio, Masuccio Salernitano e altri autori classici e 500eschi- che attraversano il rapporto tra Eros e Thatanos nella cultura occidentale, che Shakespeare problematizza, spostando il focus sull’homo novus uscito dalla Riforma, dal Copernicanesimo e dalle eterogenee tendenze del Rinascimento inglese ed europeo.

Principale rapporto da sottolineare è la drammatizzazione del linguaggio della lirica petrarchista, divenuta peculiare pratica di encomio di corte e di riflessione meditativa dell’Io poeta con l’esterno e il self-fashioning della poesia elisabettiana.

Come notato da A.J. Earl e da Witthiel, Shakespeare rifunzionalizza caratteristiche topiche in tutte le miscele, ponendo caratteristiche retoriche come l’ossimoro e il paradosso a livello tematico, capace di illustrare gli sviluppi interiori e psicologici di una Giulietta svestita per la praticità dei connotati della Laura metafisica.

I topos correlati agli astri e agli occhi vengono declinati a dar scandaglio cronologico sul palcoscenico, ove il dialogo permette di mutuare e scindere tra personaggi che ruotano intorno alla coppia il travaglio e il pericolo nato in un amore condiviso e che il matrimonio fa da motore per l’ accelerazione della morte sanguinolenta.

Se i personaggi di Mercutio e della Balia costituiscono la cifra inventiva della caratura di Shakespeare, attraverso la verve ironica non solo smontano le tonalità iperboliche di Romeo con riferimenti al basso corporale e allusioni sessuali, allo stesso tempo mostrano come all’esterno della pagina e del verso vige la realtà invischiata nel tempo caduco delle cose.

Una storia a cui Romeo e Juliet, ma anche Mercutio come Tebaldo non possono fuggire, perché se la parola d’amore è esautorata nel bacio e nell’unione degli amanti, questa non è inserita nel contesto della società civile.

Mercutio, nello smascherare la plasticità dell’inventio lirico, comprende sulla sua pelle che la parola segue l’azione e al gesto, proprio con il primordiale nemico della parola poetica, Tebaldo, mentre Romeo vede vanificarsi dinanzi agli occhi l’incapacità di pace nella parola.

La morte, mero rovesciamento e accentuazione della concretezza di Juliet, quanto del carattere petrarchesco di Romeo, sancisce la soddisfazione catartica esautorata già per bocca della parola poetica del coro all’inizio, che realizza a posteriore la tranquillitas dell’urbs veronese e l’unione di Montecchi e Capuleti.

La tragica fine se da un lato rovescia definitivamente gli elementi mixti di commedia e poesia, dall’altra parte è espiazione e soddisfazione quasi neoplatonica della perfetta unione degli amanti solo attraverso la fine del vivere, completata nell’aldilà.

 

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."