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Professore Conte, il ritorno in aula: una lezione riguardo il suo governo

Il Professore Giuseppe Conte è tornato in cattedra presso l’università di Firenze, in seguito alle dimissioni da presidente del Consiglio. Ha deciso di riavviare la sua carriera con un discorso che parte dal passato affondando le radici all’interno della sua carriera politica personale.

Nel suo ruolo di professore Conte presenta agli studenti della scuola di giurisprudenza, per mezzo di un discorso che è un vero e proprio programma politico, le tappe più importanti nella gestione della pandemia, dal caso 1 di Codogno alle trattative per il Recovery fund, l’ex premier ha stilato l’elenco degli obiettivi per un’Unione europea riformata, senza tralasciare il rapporto con le Regioni, di costante dialogo, tra difficoltà e momenti critici, senza mai pensare di ricorrere al potere sostitutivo dello Stato.

Così Conte sottolinea che la strategia politica adottata in pandemia “è stata costruita su tre pilastri: ordinanze del ministro della Salute, dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, l’adozione di decreti legge e Dpcm. Non sarebbe stato possibile lasciare l’intera regolamentazione ai solo decreti legge per l’imprevedibilità della pandemia e i tempi della conversione del decreto in legge. C’era la necessità di uno strumento agile per intervenire prontamente. Il potere sostitutivo del Governo è un potere poi che viene declinato in una legge speciale, l’articolo 8 della legge 131 del 2003 in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica. Ebbene, non abbiamo mai preso in considerazione la possibilità di esercitare il potere sostitutivo dello Stato. Abbiamo preferito coltivare un costante dialogo con le autorità territoriali, pur tra varie difficoltà e momenti critici, nella convinzione che il coinvolgimento dei vari attori istituzionali in una prospettiva di leale collaborazione ci avrebbe garantito una maggiore coesione nazionale“.

Nel corso della sua lezione il professore Conte ha poi colto l’occasione per affrontare il tema dello stanziamento di contributi a fondo perduto da parte dell’UE per gli Stati più colpiti dalla pandemia, avvenuta solo al termine di lunghissime ed estenuanti trattative.

“Uno Stato nazionale, ove ripiegato su sé stesso, non può rispondere alle sfide più complesse. Abbiamo l’obbligo di rilanciare il progetto europeo. La politica, però, deve perseguire un europeismo critico, non fideistico: un approccio di autentica conversione che consapevolmente recuperi e rilanci, attualizzandole, le ragioni fondative del sogno europeo. C’è euforia per le professioni di fede europeista che si sono moltiplicate anche in Italia in queste ultime settimane, tanto più che alcune di queste sono giunte inopinate. Ma l’europeismo non è una moda. Il modo migliore per contrastare i ripiegamenti identitari è lavorare con lungimirante concretezza per rafforzare la credibilità, l’affidabilità della casa comune europea: altrimenti, quando il vento cambierà e torneranno a spirare i venti nazionalisti, sarà molto complicato riuscire a contrastarli con la forza di soluzioni solide ed efficaci”.

Emanuele Marino
Emanuele Marino
Giornalista pubblicista, nonché studente universitario iscritto alla facoltà di Lettere Moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II