Anne, un nome di fantasia, aveva 89 anni ed era un’insegnante britannica. Il mese scorso ha deciso di suicidarsi. Si è recata in Svizzera, presso la clinica “Dignitas”, accompagnata da sua nipote Linda, e ha convinto i medici a mettere fine alla propria esistenza: un suicidio assistito.
Non aveva un male incurabile, non le avevano dato pochi mesi di vita, il dramma di Anne era uno solo: sentirsi inadatta alla realtà circostante. La donna viveva male i continui stimoli provenienti dal mondo della comunicazione e dalle tecnologie, non riusciva a stare al passo con computer, e-mail, consumismo e fast food. Anne aveva la convinzione che le persone, lei compresa, stessero diventando dei robot, e davanti alla scelta: adattarsi o morire, ha scelto la seconda soluzione, l’unica che veramente la facesse sentire libera.
Ai medici della clinica di Zurigo, l’insegnante ha descritto ciò che provava. Ha prospettato loro il suo triste futuro: probabilmente sola in una casa di cura, invisibile agli occhi di una società sempre connessa, che vive virtualmente, senza guardarsi negli occhi, sfiorarsi le mani o sorridersi. E così Anne se n’è andata, ‘disconnettendosi’ per sempre da questo mondo.