
Il format televisivo “Pizza1one”, che andrà in onda dal 27 febbraio su varie emittenti tv, ogni giorno oltre a presentare pizzaioli che si mettono alla prova ci fa conoscere anche dei pizzaioli esperiti, veri maestri della professione che assolvono alla funzione di giudice di forno e che con il loro giudizio tecnico, insieme a quello della giuria, decretano il vincitore della puntata. Tra i giudici di forno che si alterneranno nel corso delle puntate c’è Enrico Porzio titolare della Pizzaria Porzio a Soccavo, che ci ha raccontato di lavorare in pizzeria da quando era poco più di un bambino, gli abbiamo fatto qualche domanda e ci ha svelato qualche fondamento del mestiere, dando vita ad una vera e propria lezione sulla pizza.
Da quanto tempo è pizzaiolo?
«Da quando avevo 13 anni, ho fatto gavetta non ho fatto subito il pizzaiolo, però ho avuto la fortuna di avere familiari che avevano una pizzeria e quindi ho iniziato piccolissimo, andavo a scuola e nel fine settimana andavo in pizzeria poi nel periodo estivo stavo sempre in pizzeria. Quindi diciamo che ho fatto una lunga gavetta, ma a 14 anni già stavo al forno».
Qual è stato il passaggio che l’ ha fatto diventare maestro?
«Precisiamo che accetto di essere chiamato maestro, perché insegno a dei ragazzi, ma è un termine che non mi sento mio se usato troppo in generale, anche perché poi ci sono i veri maestri della pizza. Io sono un autodidatta, perché non ho mai fatto corsi, ho imparato tutto guardando internet o la sera quando torno a casa, invece di riposare, passo ore sui libri, mi tengo aggiornato, studio, cerco ingredienti farine, provo a imparare sempre di più sulle reazioni chimiche. Se proprio devo definirmi, mi definisco un pizzaiolo con molta passione, che è la sola cosa che conta per fare questo mestiere, io purtroppo trascuro anche molto la mia famiglia per questo mestiere ma mia moglie sembra capire e accettare per fortuna, capisce che la mia passione è più forte di tutto. Questo mestiere può sembrare duro e lo è, ma se lo si fa con passione neanche si sente il sacrificio, anzi, quando lo si fa con amore non si vede l’ ora di andare in pizzeria a mettere le mani nell’impasto, perché hai bisogno di sentirlo».
La pizza può essere considerata un piatto di alta qualità nella cucina?
«Nell’ultimo periodo sì. Prima era un prodotto popolare, si usavano pomodori da passa qualità latticini economici olio scadente, invece, negli ultimo 4 o 5 anni da quando si è avuto il grande successo delle pizzerie la qualità della pizza si è innalzata molto. Si fa molta più attenzione alla scelta degli alimenti, ad esempio il pomodoro san marzano dop che fino a qualche anno fa non era usato in tutte le pizzerie perché costava il doppio di un pomodoro pelato normale, invece oggi, questo pomodoro viene usato nella stragrande maggioranza delle pizzerie è la base della pizza. Un altro esempio sono i latticini, certo c’è ancora qualcuno che usa dei latticini di poco prezzo ma sono pochi, ormai tutti si orientano verso un fuor di latte buono, come quello di Agerola.
Quindi se la pizza ha avuto un grande riconoscimento è dovuto anche alla maggior ricerca degli ingredienti?
«Sì, di prodotti di qualità ma anche prodotti della nostra terra, come il pomodoro San marzano che nasce e cresce nell’agro nocerino-sarnese, i latticini provengono da Agerola».
E invece guardando all’innovazione, lei cosa pensa della pizza gourmet?
«Gourmet, da prima bisogna ricordare che gourmet significa gustoso. Mettendo da parte questo, è vero che c’è sempre una maggiore ricerca degli ingredienti, ma secondo me gourmet è un termine che si sta usando un po’ a vanvera perché una classica margherita fatta con pomodoro San marzano, fuor di latte di Agerola, olio extravergine dop già è gourmet. Non bisogna esagerare e mettere di tutto e di più sulla pizza, altrimenti non si rientra più nella tradizione della pizza napoletana, come le pizze che si fanno nel mondo con l’ananas ma quella non è la nostra tradizione».
Qual è per lei la regola fondamentale per fare una buona pizza? E quali sono gli errori più comuni?
«L’ errore più frequente è quello di usare farine sbagliate per ore di lievitazione troppo corte o troppo lunghe. Per quanto riguarda la regola fondamentale, sarebbe facile dire la passione che è sicuramente elemento indispensabile però se andiamo nel tecnico, se parliamo degli impasti occorre una buona maturazione, se parliamo degli ingredienti occorre mettere degli ottimi ingredienti. La fusione tra le due cose rende un prodotto eccellente».
Lei ha accennato ad una buona maturazione, qual è il suo punto di vista sugli impasti a lunga lievitazione difesi soprattutto da chi in questo modo pensa di dare al cliente un prodotto più digeribile?
«Per avere la digeribilità ci vuole il tempo per l’impasto, questo vuol dire che un impasto fatto in 3 o 5 ore non può essere digeribile. Poi bisognerebbe fare un discorso più generale, guardando anche alle farine perché ci sono farine più forti e farine meno forti, farine adatte alla lunga maturazione e farine per la medio maturazione. Però in tutti i casi c’è un periodo di tempo necessario alla farina per maturare, ovvero quel processo che non ti da quella sensazione di pesantezza o una sete fortissima dopo aver mangiato una pizza, quindi gli impasti per essere maturi e quindi digeribili hanno bisogno di ore».
E rispetto alla cosi dette pizze ‘gommone’?
«Allora, la pizza gommone non sempre dipende dalle troppe ore di lievitazione, si intende una pizza con un cornicione molto alto, anche due centimetri. Ma bisogna distinguere tra un cornicione che all’ interno ha aria un’ alveolatura, quello che noi definiamo nido d’ape, o se invece è un cornicione pieno che quando lo mangiamo ci gonfia, questo non è neanche definibile pizza gommone. Per me la verità sta nel pezzo, io non propongo né una pizza con un cornicione altissimo né una pizza con un cornicione sottilissimo, non sono a favore del cornicione troppo alto quando questo poi porta ad una pizza troppo piccola perché è tutta cornicione, in questo caso si potrebbe anche intendere come una presa in giro per i clienti».