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Omicidio di Boscotrecase, rivelato il movente del delitto

Luce sull’omicidio di Boscotrecase. L’imprenditore che ieri si è costituito dopo aver ucciso Gaetano Ariosto ha spiegato ai carabinieri come sono andate le cose.

“Stava per aggredirmi. Ho avuto paura, ero disperato e ho fatto fuoco”, questa la tragica sintesi di un pomeriggio di sangue.
A raccontare è  Antonio Papa, l’imprenditore edile che ieri pomeriggio ha ucciso con un colpo di pistola Gaetano Ariosto.
La vittima, con precedenti penali e fratello di un noto pregiudicato di San Giovanni a Teduccio legato al  clan Mazzarella. La famiglia è balzata sotto i riflettori per l’efferato delitto detto dello zainetto.
La vittima era pregiudicato e vicino ad ambienti criminali, a Boscotrecase in provincia di Napoli.
Tutto al culmine di una lite, come lui stesso ha confessato ai carabinieri quando si è consegnato ieri notte in caserma.

Omicidio di Boscotrecase, l’usura il movente dell’efferato delitto

Sullo sfondo, una storia di usura e un prestito chiesto ad Ariosto che il piccolo imprenditore non riusciva a pagare in nessun modo.

Avevo chiesto tempo, ma lui voleva i soldi“, dice ancora Papa. A quel punto ha fissato l’appuntamento lui stesso per chiedere altro tempo, quello di ieri appunto, tuttavia anche questa volta Ariosto avrebbe minacciato esplicitamente Papa che, in preda al panico, gli ha sparato. Poi la fuga in auto, una riflessione, e la decisione di presentarsi ai militari dell’Arma.

Dopo l’omicidio di Boscotrecase, l’uomo è in carcere in attesa della convalida del fermo, mentre gli inquirenti stanno verificando la sua ricostruzione dei fatti.

L’omicidio dello zainetto, il tragico fatto di sangue sulla coscienza della famiglia

Fu un feroce episodio di cronaca ed è passato alla storia come l’omicidio dello zainetto. Il raid criminale avvenne nell’aprile del 2019, tra via Sorrento e via Ravello a San Giovanni a Teduccio.

Intorno alle 8,30 del mattino, orario di ingresso dell’Istituto Vittorino da Feltre, nel cuore del Rione Villa, nell’area Est di Napoli, tormentata dalle aggressioni della criminalità organizzata.

Numerosi i colpi di pistola esplosi da due sicari a bordo di uno scooter. In zona fu trovata un’auto crivellata di proiettili. Inizialmente gli inquirenti credettero che l’obiettivo del commando di fuoco fosse Pasquale Mignano, ferito a una gamba e ricoverato all’Ospedale del Mare.

Dopo si collegò il suo ferimento all’uccisione del padre, cognato del boss Ciro Rinaldi. Luigi Mignano aveva precedenti per estorsione, droga e anche associazione e secondo gli investigatori era vicino al clan Rinaldi, egemone della zona e da tempo in guerra con il clan Mazzarella per il predominio su San Giovanni a Teduccio.

Pasquale Mignano, invece, non aveva precedenti ma solo semplici violazioni al codice stradale. Grazie alle scelta di D’Amico di passare dalla parte dello Stato furono ricostruiti tutti i passaggi di quel delitto avvenuto davanti a decine di bambini.