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Nicola Romano: Il giudice riapre il caso

Il 26enne Nicola Romano venne ritrovato morto il 17 marzo del 2013 all’interno del suo appartamento a Perugia. Per gli inquirenti si trattó di morte per overdose e quindi il caso fu chiuso in tempi brevi.

A distanza di nove anni però, si riaccende la speranza per i famigliari di Nicola, che non hanno mai creduto che il giovane fosse morto per droga. Analizzando le immagini a disposizione della famiglia, sembrerebbe che il 26enne sia stato ammazzato e sia morto per soffocamento. Una pista investigativa del tutto discordante con quanto stabilito inizialmente dagli inquirenti.

Coadiuvati da un team di periti hanno consegnato tutto alla Procura di Perugia chiedendo di la riapertura del caso.

Dopo un ulteriore approfondimento il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione. Ma il giudice gli ha risposto di no. Richiedendo, al contrario, un approfondimento ulteriore,  in particolare su alcuni elementi emersi.

Una notizia che dà speranza alla famiglia; ora si spera che si possa fare luce sul caso, per loro, chiuso troppo in fretta.

Morte Nicola Romano: la dinamica

La sera precedente al rinvenimento del corpo di Nicola Romano da parte dello zio, la madre del giovane, la Signora Rico Teresa si era recata presso l’appartamento del figlio poiché quest’ultimo non rispondeva alle sue chiamate. Giunta a casa del ragazzo, Nicola, pur non aprendo la porta di casa, aveva tranquillizzato la mamma, dicendole che andasse tutto bene. Nonostante ciò, la signora Rico ha dichiarato agli inquirenti di aver sentito delle voci provenire dall’appartamento, come se suo figlio non fosse solo.

L’appartamento era in subbuglio, con sedie divelte e mobilio fuori posto. Inoltre, secondo la testimonianza di un vicino di casa, deceduto, durante la notte (presumibilmente qualche ora prima del decesso) era stato avvertito un gran trambusto proveniente dalla casa del giovane.

Accanto al corpo di Nicola è stata ritrovata una siringa senza ago, mai ritrovato, una fiala e nel lavello tre bicchieri con del liquido.

In opposizione anche le consulenze mediche eseguite. Il primo consulente incaricato dal pubblico ministero, colui che ha eseguito  l’autopsia aveva parlato di morte avvenuta per intossicazione acuta da morfina (la cui presenza potrebbe indicare un’assunzione di eroina), dall’altro i consulenti di parte ipotizzavano invece una morte per soffocamento, sottolineando che il valore della morfina fosse basso rispetto ai valori presi in esame e soprattutto non sufficiente a provocare una intossicazione di quel tipo.  Inoltre, tenuto conto anche dei dati estrinseci, quali lo stato dell’appartamento, la presenza di un cuscino appena sopra la testa del giovane, la presenza di altre persone (testimoniata dalla mamma di Nicola) il fatto che l’iniezione della sostanza fosse avvenuta sul braccio destro, dettaglio quasi impossibile dato che Nicola Romano era destrimane e, quindi, si sarebbe dovuto praticare l’iniezione con la mano sinistra. I familiari inoltre sottolineano che il congiunto, pochi giorni prima della morte, fosse stato picchiato da soggetti non identificati e atti di vandalismo sulla tomba di Romano tra il 2020 e il 2021.

Altro elemento da prendere  in considerazione sono gli evidenti graffi sulle braccia del ragazzo, che fanno pensare ad una colluttazione, motivo per il quale il caso non può essere archiviato.

La decisione del Giudice dopo la riapertura del caso 

Stabilito in sede di giustizia quanto detto, in mancanza di prove scientifiche che attestino come sia morto Nicola Romano, alla richiesta di riapertura del caso da parte del legale della famiglia, il Giudice ha dichiarato: «Si ritiene, tenuto conto anche delle indicazioni che erano state date in sede di riapertura delle indagini, di non accogliere allo stato la richiesta di archiviazione, ma che possano essere esperite alcune indagini suppletive», quali l’escussione di quell’amico «circa i suoi movimenti la sera e la notte del decesso, o se era a conoscenza delle persone che potevano essere con lui». Il giudice chiede anche di indagare ulteriormente nelle seguenti direzioni: «Provvedere all’analisi dei reperti in sequestro — laddove non distrutti — e quindi sulla siringa, sulla quale vi erano tracce ematiche, per verificare se il sangue sia riconducibile al Romano, o vi siano impronte digitali, nonché sulla fiala e sui bicchieri rinvenuti nel lavello, per verificarne il contenuto e, laddove possibile, estrarre Dna e impronte». Pertanto accoglie l’opposizione dei familiari e dà mandato al pubblico ministero «di effettuare le indagini suppletive indicate, concedendo ulteriori mesi sei per le indagini».