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Nellie Bly e la sua inchiesta in un manicomio

Molte sono le imprese giornalistiche che hanno reso celebre Nellie Bly (pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran), dal “giro del mondo” in 72 giorni sulle orme del famoso personaggio di Jules Verne, Phileas Fogg alle testimonianze sul fronte austro-ungarico durante la Prima guerra mondiale. Nellie Bly è stata una pioniera del giornalismo investigativo e le sue inchieste sono un grande emblema di coraggio e audacia, nonché grandi esempi di giornalismo sotto copertura.

Nellie, originaria della periferia di Pittsburgh, aveva inizialmente scritto per un quotidiano locale, il Pittsburgh Dispatch, sul quale aveva pubblicato articoli di denuncia sulla difficile situazione delle donne lavoratrici. Inoltre all’età di soli 21 anni, andò in Messico come corrispondente estero e scrisse pagine molto interessanti sui costumi e sulla vita del popolo messicano, pagine che vennero poi pubblicate nel suo libro Sei mesi in Messico. Nel 1887 lasciò Pittsburgh e si trasferì a New York: si presentò poi al New York World di Joseph Pulitzer chiedendo di essere assunta come reporter. Viene apprezzato subito il suo coraggio e la sua prima inchiesta per il New York World sarà sull’isola Blackwell, dove si trova il manicomio femminile di New York.

Lo scopo dell’inchiesta era fingersi pazza per farsi rinchiudere nel manicomio e testimoniare in quali condizioni vivessero le pazienti. Il primo passo era raggiungere il pensionato di carità per donne lavoratrici della Second Avenue e farsi accogliere. Nellie Bly aveva poi intenzione di fingersi pazza e spingere le altre donne che risiedevano nella Casa di accoglienza a chiamare le forze dell’ordine affinché la portassero a Blackwell’s Island. Una delle maggiori preoccupazioni di Nellie riguardava proprio il riuscire a ingannare sulla sua presunta pazzia: non doveva, infatti, convincere solo le donne del pensionato, ma anche gli stessi medici di Blackwell, professionisti che si supponeva fossero esperti nel riconoscere disturbi psichiatrici. Oltre a modificare il proprio vestiario, Nellie lavorò anche molto sulle proprie espressioni: “Cominciai così a esaminare il mio volto allo specchio, tentando di ricordare quanto letto circa le espressioni che solitamente compaiono sui visi delle persone affette da follia. In primo luogo, mi imposi la fissità dello sguardo, spalancando gli occhi e trattenendomi il più possibile dallo sbattere le palpebre”. Grazie a tutti questi accorgimenti, tutto il piano procedette come la giornalista aveva programmato e riuscì quindi a farsi rinchiudere nel manicomio femminile di Blackwell.

Nellie Bly passò dieci giorni nel manicomio e scoprì che le voci a cui precedentemente non dava peso erano molto più che fondate. Le condizioni di vita delle pazienti erano disumane: il cibo era rancido e ammuffito, le pazienti venivano lavate con acqua gelida e sporca che ne minava la salute, le infermiere erano crudeli, disumane, ricorrendo spesso alla violenza e i medici non sapevano distinguere le pazienti realmente folli da quelle che si erano ritrovate a Blackwell a causa di incomprensioni. Ciò che era peggio è che non veniva fornita alcuna cura alle pazienti per i loro reali o presunti disturbi mentali; infatti, Nellie Bly ribadì più volte nel corso della sua inchiesta che il manicomio di Blackwell, a causa del modo in cui veniva gestito, faceva peggiorare le condizioni psichiche delle pazienti o le portava alla pazzia. Alcune delle misure adottate all’interno del manicomio come il chiudere le pazienti nelle proprie stanze durante la notte erano estremamente pericolose, ad esempio in caso di incendio. Ciò che rendeva la testimonianza della giornalista ancora più agghiacciante, tuttavia, fu il suo ammettere che aveva smesso di fingersi pazza non appena fu internata (“E tuttavia, più parlavo e agivo razionalmente, più ero ritenuta afflitta da follia”). Viene confermata così una grande quanto tetra verità: chi entrava nel manicomio di Blackwell, poi non poteva più uscire.

Passati i dieci giorni, gli uomini di Pulitzer andarono a liberare la giornalista, dicendo di essere amici della ragazza e che si sarebbero presi cura di lei. Nellie Bly scrisse un’inchiesta che indignò tutta l’America in cui denunciò la violenza, la fame, ma soprattutto descrisse gli occhi vuoti delle pazienti (“la forma umana è lì: eppure manca quel qualcosa senza il quale il corpo può vivere, ma che non può esistere senza il corpo”). Lo stesso stile della reporter è molto emotivo e lascia spazio ad una verve creativa che coinvolse molto i lettori. La sua inchiesta ebbe così successo che le autorità furono costrette ad intervenire e scattarono numerosi controlli in tutti i manicomi americani. Grazie a quelle indagini, furono aumentati i finanziamenti al fine di migliorare la qualità del cibo, l’igiene e in generale le condizioni di vita delle pazienti (“la commissione destinò 1.000.000 di dollari- più di quanto fosse stato stanziato- alla cura dei malati di mente”).