“Il lavoro narrato” da Alessio Strazzullo

C’è la crisi, i disoccupati aumentano, soprattutto tra i giovani. Di che si può parlare? Di lavoro, di quello ben fatto. Del lavoro vissuto come filosofia di vita, di quello che fa scendere di qualche gradino le logiche del profitto per far salire sul podio la passione, il cuore, la storia individuale e quel filo rosso che tiene salde tra loro, come perle di una preziosa collana, professioni diverse. C’è chi parla di questo tipo di lavoro, con l’intento di cambiare la prospettiva della narrazione. Lo scopriamo ascoltando Alessio Strazzullo, uno dei protagonisti de “La Notte del Lavoro Narrato in Campania” e del lungo e faticoso progetto che l’ha preceduta.
Cos’è il lavoro narrato?
«Il lavoro narrato, o meglio il tag #lavoronarrato comprende tante cose. Comprende un’inchiesta nata dal rapporto tra Fondazione Ahref e Fondazione Giuseppe di Vittorio dal titolo “Le vie del lavoro”, comprende un romanzo scritto da Vincenzo Moretti (Testa, mani e cuore, Ediesse) e un mio documentario (La Tela e Il ciliegio), comprende centinaia di storie di italiani lavoratori, di storie di qualità e di approccio artigiano. Comprende questo grande evento nazionale che è stato “La Notte Del Lavoro Narrato”, e tutte le storie e le associazioni, le biblioteche che l’hanno promosso con noi, tutte le scuole che hanno partecipato, tutti gli uomini e le donne che hanno preso a cuore questo progetto».
Tu che ruolo hai e chi lavora con te a questo progetto?
«Abbiamo cominciato io e Vincenzo Moretti qualche anno fa. Ma oggi siamo tanti e la Notte Del Lavoro Narrato l’ha dimostrato. Siamo davvero tanti, così tanti che se cominciassi a rispondere con dei nomi ti ritroveresti una lista bella lunga. Ti rispondo con un link in cui sono elencati i partecipanti: http://lanottedellavoronarrato.org/partecipanti/ Ci occupiamo sia io che Vincenzo di tante cose differenti, su questo progetto il nostro lavoro spazia dalla creazione di contenuti al coinvolgimento del network, dal lavoro organizzativo al pubblicare i contenuti sui social network».
Quali storie raccontate? Con quale scopo?
«Al principio di qualsiasi cosa che facciamo e che rientra in questo grande progetto c’è la voglia di cominciare a spostare il centro della narrazione da ciò che hai a ciò che sai e sai fare, dal lavoro come mezzo per arricchirsi a mezzo per aiutare la comunità, per creare identità, futuro, possibilità. Il tema del Lavoro è un tema complesso ed è stato trattato tanto e in modi differenti. Noi ricerchiamo una filosofia alla base, l’applicazione, la dedizione per la propria opera, ci interessa capire come le persone fanno il proprio lavoro e perché, ci interessa il lavoro come attività capace di dare senso e direzione alle comunità anche quando il lavoro di qualità sembra aver perso senso, anche quando la serietà verso la propria attività sembra aver perso senso. E se questo senso l’ha perso in parte dipende anche da chi ha spostato l’attenzione sull’equivalenza denaro e cose che possiedi uguale capacità. Ci vorrà del tempo, ma siamo davvero decisi a cambiare questa narrazione».
Una storia che ti ha particolarmente colpito?
«Più che una storia in particolare mi piace il filo rosso che collega tutti questi diversi lavoratori: dal pasticciere all’impiegato, dallo spazzino al maker 3d. Ed è bello scoprire come la passione per il proprio lavoro o i propri lavori sia contagiosa. Mi piace quando scopriamo nelle storie punti di contatto forti: tutti i bambini che intervistano i genitori sul loro lavoro (esperimento che abbiamo ripetuto in diverse scuole) scoprono cose che non immaginavano e si sentono arricchiti. Tutti gli anziani lavoratori che intervistiamo, alle volte molto anziani – magari in pensione da anni – ricordano con lucidità tutti i trucchetti e gli accorgimenti che adottavano nel loro lavoro. E spesso si tratta di riflessioni a un passo dalla pratica zen, insegnamenti che valgono nel lavoro ma in qualsiasi altra attività della vita. Un messaggio come quello che abbiamo trovato nelle botteghe artigiane in provincia di Salerno come “Ciò che va quasi bene non va bene” può valere nel lavoro, si, ma è un approccio che migliora anche lo studio, lo sport, è un approccio che migliora anche la pratica di un Hobby».
Il 30 aprile c’è stata “La notte del lavoro narrato”. Com’è andata? Cosa avete fatto?
«In un centinaio di posti in tutta Italia uomini, donne e bambini si sono riuniti per parlare, cantare, narrare, rappresentare, suonare e disegnare (qualcuno ha addirittura scolpito) storie di lavoro. E tutto questo è accaduto nelle scuole, nelle case, nelle biblioteche e nelle sedi delle associazioni, addirittura in un reparto di pediatria di un ospedale. È avvenuto contemporaneamente e tramite l’hashtag #lavoronarrato tutti hanno visto cosa accadeva negli altri posti. È stato un grande successo, c’è stata tanta emozione e anche tanta voglia di comunicarla questa emozione. Io non sono una persona molto incline ai sentimentalismi, ma vedere una stanza piena zeppa di bimbi intenti ad ascoltare storie di antichi mestieri, o i video di un padre che si lasciava raccontare una storia da sua figlia su youtube, e tutte le facce dei partecipanti e i disegni e le canzoni e le musiche e i messaggi pieni di voglia di fare di tantissime persone mi ha riempito il cuore. E questo è impagabile. Come è impagabile avere messo insieme un network così inclusivo e aperto, pronto ad accogliere tutti quelli che abbracciano quest’idea, pronto a discutere seriamente sulle modalità di partecipazione. E con un documentario collettivo proveremo a restituire quest’esperienza così grande. Per me che sono videomaker è una bellissima sfida: il materiale è molto variegato, ma come spiegavo a una delle partecipanti proprio questa mattina non fa nulla che il video sia girato con un telefonino e che la mano tremi, sarà proprio questo a rendere il senso di questa bellissima esperienza».
Programmi futuri del progetto?
«Chi lo sa cosa può accadere ad un network così grande ed inclusivo come il nostro? Ci piacerebbe diventare dieci milioni, forse anche di più. Continueremo a fare quello che facciamo, ma soprattutto siamo pronti ad accettare suggerimenti. Di certo non finisce qui».