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Napoli, Superbonus 110%: sgominata la “superfrode” da 110 milioni di euro

Proprio in occasione dell’edizione di alcuni giorni fa de Il Corriere della Sera, Milena Gabanelli, con la consueta rubrica Dataroom, eseguiva una minuziosa disamina inerente ai paradossi della normativa che regola il Superbonus 110% del Decreto Rilancio del 19 maggio 2020.

Il meccanismo del Superbonus 110% punta a rendere più efficienti e più sicure le proprie abitazioni e prevede la possibilità di effettuare i lavori a costo zero per tutti i cittadini.

Dal 1° Luglio 2020 sono stati spesi 16,2 miliardi e ne sono previsti investimenti ulteriori 14 fino al 2023, quando l’incentivo dovrebbe scadere.

Con gli incentivi, tuttavia, le frodi sono sempre in agguato: nelle scorse ore, infatti, la Guardia di Finanza del gruppo di Napoli ha eseguito un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza per un totale di circa 110 milioni di euro di crediti d’imposta relativi proprio al Superbonus 110%, nei confronti di un Consorzio operante nel settore.

L’inchiesta si è originata da una attenta analisi di rischio sviluppata dall’Agenzia delle Entrate – Divisione ContribuentiSettore Contrasto Illeciti, che ha messo nelle condizioni di emergere il sistema truffaldino.

In tutto, sono state eseguite attività di: perquisizione e sequestro nelle residenze di 21 persone fisiche, nelle sedi di 3 enti/società e sequestri preventivi di crediti presso 16 istituti finanziari, società e persone fisiche.

Il Consorzio, stando ai dati delle indagini, servendosi di una fitta rete di procacciatori di clienti, si proponeva ai privati che intendessero avvalersi dell’applicazione del Superbonus 110% per effettuare i lavori previsti dall’incentivo.

La truffa Superbonus 110% del Consorzio 

Facevano stipulare loro dei contratti per appalto lavori, con cessione del credito d’imposta, richiedendo tutta la documentazione utile al caso. Salvo, poi, interrompere immediatamente dopo i rapporti, oppure eseguire attività di natura burocratica.

Una volta pervenuti i contratti, il Consorzio emetteva fatture per operazioni inesistenti verso dei privati committenti in cui si notificava uno stato di avanzamento lavori per una percentuale di almeno il 30%, ovvero la percentuale minima necessaria per ottenere la cessione del credito d’imposta.

I lavori, naturalmente, non sarebbero mai stati eseguiti, nonostante le relative successive cessioni di crediti a beneficio del Consorzio, precorso dalla comunicazione da parte dei commercialisti che apponevano il visto di conformità.

Le prescritte asseverazioni tecniche sui lavori che venivano “svolti” dal Consorzio in esame, garantite da professionisti abilitati, evidenziavano delle anomalie sospette individuate dall’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente).

In questo modo, il Consorzio aveva accumulato benefici per oltre 109 milioni di euro di crediti d’imposta, dal 2020.

Il provvedimento ha interessato il Consorzio, l’intero collegio del Consiglio di amministrazione, i cessionari finali dei crediti, gli intermediari e una schiera di professionisti tra le regioni di Abruzzo, Calabria, Campania,Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia,  Piemonte e Veneto.