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Monarchia inglese: vicissitudini storiche e politiche

La monarchia inglese conobbe tra il Cinquecento e il Seicento un periodo di grande splendore. L’Inghilterra, infatti, approfittando del declino delle manifatture italiane, riuscì a imporre sui mercati europei i propri manufatti di lana. Essa inoltre, trasformando in campi chiusi i campi aperti di proprietà comune dei villaggi aumentò la differenziazione delle colture e fece crescere la produzione di grano (che poté in parte essere esportato); iniziò a utilizzare il ferro e il carbone, di cui era ricca, per la costruzione di armi e il rifornimento delle proprie officine; si avviò infine a diventare una grande potenza marittima.

La storia della monarchia inglese in quel periodo è strettamente collegata a quella della sua assemblea rappresentativa: il parlamento.

Il parlamento inglese, nato nel Medioevo per limitare i poteri del re, era formato da due Camere: quella dei Lords (gli aristocratici) e quella dei Comuni (che ospitava i deputati delle città e delle campagne). Il parlamento era dominato dai Lords e i Comuni avevano ben poca importanza. Tuttavia esso era comunque sensibile agli interessi del Paese.

Il parlamento dipendeva dal re e solo lui poteva convocarlo. Il re, però, dipendeva a sua volta dal parlamento, perché in Inghilterra esso aveva il diritto di bocciare le sue proposte.

I Tudor, che regnarono tra il 1485 e il 1603, furono la dinastia che maggiormente potenziò la vita parlamentare, creando un vasto consenso tra la popolazione.

Tra il 1558 e il 1603 regnò Elisabetta I, figlia di Enrico VIII, il fondatore della Chiesa anglicana. Questo periodo fu chiamato Età elisabettiana e vide nascere le basi del futuro primato inglese in Europa.

Elisabetta capì che le fortune inglesi sarebbero state giocate sui mari. Potenziò la flotta, iniziò lo sfruttamento delle colonie americane e batté la concorrenza spagnola e portoghese servendosi anche di corsari come Francis Drake.

Monarchia inglese: storia e politica 

Filippo II di Spagna tentò di bloccare l’espansione marinara inglese con uno sbarco nell’isola, deciso anche per vendicare la condanna a morte di Maria Stuart, la cattolica regina di Scozia; ma l’Invincibile Armada fu sconfitta, aumentando il prestigio della flotta inglese.

Dopo la morte di Elisabetta il trono passò agli Stuart, cattolici e sostenitori della monarchia assoluta. Con Carlo I esplose una guerra civile tra i sostenitori del re e i sostenitori della supremazia del parlamento, guidati da Oliver Cromwell. Le forze favorevoli al parlamento vinsero, proclamarono la repubblica e condannarono a morte il re. Dopo un breve periodo di “dittatura” personale di Cromwell, gli Stuart tornarono sul trono, ma furono definitivamente cacciati nel 1688 e sostituiti con una dinastia straniera. La vittoria definitiva del parlamento fu portata a termine con il Bill of Right, che attribuiva al parlamento tutte le decisioni politiche fondamentali.

La monarchia assoluta in Francia e in Russia

Mentre l’Inghilterra si avviava verso l’affermazione del sistema parlamentare, la Francia procedeva verso un opposto traguardo: l’assolutismo, cioè l’incondizionato potere del re senza alcun controllo parlamentare.

Il parlamento francese era nato anch’esso nei primi anni del Trecento, ed era un’assemblea nella quale sedevano i rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo stato, al quale appartenevano i rappresentanti della borghesia.

In Francia, però, il parlamento aveva un peso molto minore, rispetto a quello inglese. Il re infatti lo convocava raramente e tutte le decisioni importanti venivano prese dal Consiglio del re, formato da pochi ministri scelti tra i nobili di corte fedeli al sovrano.

Con Luigi XIII e i suoi ministri, Richelieu e Mazarino, ma soprattutto con Luigi XIV, detto il Re Sole, si affermò in Francia l’assolutismo.

Luigi XIV concentrò nella sua persona tutti i poteri politici, affermando che il potere di governare gli era stato attribuito direttamente da Dio. Il Re Sole applicò questa convinzione in ogni campo: nella religione perseguitò gli ugonotti e poi con un editto li espulse dalla Francia; nella cultura praticò il Mecenatismo (proteggendo artisti e letterati), ma nello stesso tempo fece uso della censura. Trasformò quindi i nobili in cortigiani sottomessi e amministrò la riscossione delle tasse e l’ordine pubblico attraverso funzionari alle sue dipendenze.

Per arricchire le casse dello stato e sostenere la politica di grandezza di Luigi XIV, il suo ministro delle finanze Colbert avviò una politica di protezionismo sulle merci francesi, dando aiuti e sovvenzioni alle officine francesi e istituendo tariffe doganali molto alte in modo da scoraggiare l’importazione dei prodotti stranieri.

Il programma di Colbert, tuttavia, ebbe effetti limitati, in primo luogo perché riguardò solo superficialmente il settore agricolo, in secondo luogo perché ingenti furono le spese che la Francia dovette sostenere a causa del coinvolgimento, voluto dal Re Sole, nella Guerra di Successione spagnola, scoppiata all’inizio del ‘700.

In Russia, tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, governò con potere assoluto lo zar Pietro il Grande. Ammiratore della cultura occidentale, che aveva conosciuto direttamente soggiornando a lungo in Europa, Pietro il Grande prese una serie di provvedimenti per far uscire la Russia dallo stato di arretratezza in cui si trovava. Lo zar riformò l’amministrazione, creando un gruppo di funzionari fedeli alla corona, fondò scuole che insegnassero ai figli dei benestanti la cultura occidentale, limitò il potere della Chiesa ortodossa, riorganizzò l’esercito e fece allestire una flotta.

La modernizzazione di Pietro il Grande però non toccò gli strati più bassi della popolazione urbana, né i contadini, che restarono “servi della gleba”; non ebbe inoltre profonde conseguenze, in quanto in Russia non esisteva una classe borghese abbastanza estesa da appoggiare le iniziative dello zar e farle durare nel tempo.