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“Mò vene Natale”, la miseria diventata allegria

Domenico Rea nel saggio “Le due Napoli” individuò la verità del popolo partenopeo non edulcorata e atrofizzata negli auctores che si avvalsero del dialetto, come Raffaele Viviani e prima ancora negli ignoti autori di canzoni e filastrocche. Una forma ibrida sembra esser la salmodiante di “Mò vene Natale” che recita:

<<Nuvena Nuvena/ mò vene Natale/ nun teng’ denare/ me fume ‘pippa/ e me vaco a ccuccà>>

Ad oggi, come “La canzone di Zoza”, non si conosce chi sia stato il fautore di quella che sembra una litania tutta allitterativa e assonanzata che ben si incastona nella memoria al punto da esser stata ripresa da Renato Carosone.

L’aspetto ludico sotteso, parimenti a quello di numerose altre canzoni napoletane, esprime la precarietà di alcune fasce sociali nell’approssimarsi del Natale, status associabile al motto “O’ napulitan se fa sicc ma nu mmore”.

Ciononostante le origini remote e la diffusione nel Mezzogiorno è verificata dall’esistenza anche di una variante del medesimo leitmotiv anche in area sicula, la quale sarebbe stata ipotizzata dalla grammatica storica l’abitudine di fasce di anziani avvezze al fumare il tabacco in pipa, viventi in miseria e accontentandosi alla giornata.

Tale ipotesi a portato anche alla possibilità da parte dei linguistici che il motivetto sia successivamente entrato nel mondo sottoproletario napoletano, data la reimpostazione dialettale in altre varietà meridionali del Mezzogiorno continentale. Esemplare è quella presente in Abruzzo.

I tratti malinconici non devono però indurre ad una visione triste di “Mò vene Natale; perché alla magia del Natale viene giustapposto una visione disillusa del vivere e immersa nel quotidiano, tipica delle classi sociali soggiornanti nei “bassi” del “Ventre di Napoli”.

Eppure, una tale ottica non impedì nel 1959 al musicista partenopeo Renato Carosone, insieme a Gegè Di Giacomo,  di adottarla come testo base, rielaborando alcuni termini e aggiungerne strofe, mettendo insieme al sound jazz all’ethos venato di una napoletanità più vicina a Totò che ad Eduardo.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."