giovedì 12 Settembre, 2024
21.8 C
Napoli

Articoli Recenti

spot_img

Marlon Brando, è sempre lui

Il titolo di questa canzone di Luciano Ligabue rende a pieno lo spessore di un must della Golden age di Hollywood incarnata da Marlon Brando.

Nato in Omaha, nel Nebraska, Marlon Brando è il pioniere del metodo Stanislavskij nel cinema a stelle e strisce, ricercante l’approfondimento psicologico e un collagene tra l’interiorità del personaggio e quella dell’attore.

Tale precetto viene sposato a pieno da Brando, grazie ai corsi all’ Actors Studios di New York e che dopo una prima prova svolta sulle tavole del palcoscenico poco più che ventenne, passerà al grande schermo.

Punto in comune tra teatro e macchina da presa per Marlon Brando sarà il ruolo interpretato in “Un tram che si chiama desiderio” di Tennesee Williams, nel 1947 in teatro e nel 1951 al cinema.

Nei panni di Stanley Kowalski, Brando entra nelle vesti di un soggetto di una beltà ferina, un’ animalità sexy che diventerà uno stereotipo nella cultura anni 50′ americana, incarnata proprio da Brando.

Conta in verità ribattere sulla capacità d’attrazione avuta verso la prossima e successiva generazione fattoriale americana e non solo.

Da James Dean ad Al Pacino, fino ai più recenti attori come Johnny Depp hanno segnalato il magistero esercitato dalla personalità di Marlon Brando sulle loro carriere e ancor più sul loro rapporto con la macchina da presa.

Una vivacità selvatica, per citare la visione estetica che Cesare Pavese rintracciò nel romanzo americano di William Faulkner e Sinclair Lewis, data in primis dallo slang oltre che dall’imprevedibilità dei destini degli uomini. Brando accoglie tutto ciò.

In una società come quella americana, uscita devitalizzata sul piano assiologico sarà un’altro personaggio di Brando a farla da padrone con la pellicola “Il Selvaggio”.

Uscito del 1953, il ribellismo che sfocia successivamente in “Gioventù bruciata” del personaggio di Jimmy interpretato da James Dean, il ruolo di Brando nel biker Johnny a capo di una banda di motociclisti taglieggiante un paesino in attesa di uno scontro con la fazione rivale è cucito ad hoc, soprattutto per il finale ad agnizione sul piano dell’eros e della giustizia.

Ma Brando ha figurato anche la grande storia, con il ruolo di Marco Antonio nel “Giulio Cesare” filmato dal dramma storico shakespeariano nel 1954, guadagnatosi l’ulteriore candidatura all’Oscar, conseguito con “Fronte del Porto” nell’anno sopracitato.

Fronte del Porto è solo una minima parte di un dovuto riconoscimento, il personaggio dell’operaio ex pugile Terry Malloy, è l’emblema di un homo civis che combatte in una società stretta dai morsi della mala locale e dell’omertà, in cui i vincoli familiari e sociali precipitano fino alla risoluzione e allo scontro finale tra l’eroe e il male.

Il trasformismo, altro punto di forza di Brando si evince anche dalla capacità performativa e costumista, come si evince dal passare da personaggi del passato fino a commutare l’aspetto fisico, come per “Giovani leoni” ove si tinse di biondo per impersonare un aviatore tedesco, oppure il trucco per entrare nelle fattezze di don Vito Corleone nel Il Padrino parte prima.

Alla lunga carriera attoria-cinematografica, va infine segnalato l’engagement assunto lungo l’arco di essa, a partire dalla partecipazione per la lotta dei diritti razziali degli afroamericani, per la tutela delle popolazioni indiane e per gli omosessuali, sia mettendo la propria faccia che il proprio portafoglio.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."