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Manoscritto meridionale Divina Commedia: storia e cultura

Un manoscritto, in particolar modo quelli prodotti tra Trecento e Quattrocento, funge da collante tra passato e presente. Toccarli con mano, o semplicemente osservarne la bellezza, è qualcosa di indescrivibile, non soltanto per gli studiosi e i linguisti.

Una delle opere più famose della letteratura italiana, la Divina Commedia, è da sempre studiata e amata soprattutto da filologi e professori universitari.

Per quanto riguarda l’opera dantesca, forse non tutti sanno che, proprio la prima copia manoscritta, si trova a Napoli, fervente città culturale, pullulante di storia e meraviglie.

Il Complesso monumentale dei Girolamini è uno dei tanti vanti che offre la città di Napoli.

Oltre alle varie vicende storiche che negli anni l’hanno caratterizzata, ciò che più sorprende, è la presenza al suo interno, di un manoscritto molto importante. Il complesso monumentale dei Girolamini, custodisce circa 160.000 titoli, e tra questi, vi è il più importante codice della tradizione manoscritta meridionale della Divina Commedia.

Il manoscritto apparteneva alla collezione privata di Giuseppe Valletta, un intellettuale napoletano. Alla sua morte, il filosofo Giambattista Vico consigliò ai Padri Girolamini di acquisirla.

Storia del manoscritto meridionale della Divina Commedia

Per quanto concerne l’importante manoscritto, esso è il CF 2 16, conosciuto anche come “Codice Filippino” dal nome della Biblioteca che lo possiede (la Biblioteca Oratoria dei Girolamini è anche detta dei Filippini, da S. Filippo Neri, fondatore dell’ordine).

Un grande patrimonio per la Campania e per la città di Napoli, che ancora una volta, associa il proprio nome a quello di un grande Poeta, il Sommo, padre della lingua italiana, ossia Dante Alighieri.

Il manoscritto custodito all’interno della Biblioteca Oratoria, a Napoli, è particolarmente prezioso, databile verso il 1350, integrato da due volumi, curati da Andrea Mazzucchi. 

Molto probabilmente, il manoscritto fu rilegato da un copista toscano, ed è un vero e proprio fiore all’occhiello della storia culturale meridionale.

Scopriamo il cosiddetto “Codice Filippino”

Ricordiamo a tal proposito che, l’attività di copia e trascrizione fu molto intensa e vide impegnati diverse figure, in varie parti d’Italia. 

Attraverso la trascrizione del copista, che dovrebbe fondarsi su linee linguistiche ben identificate dal punto di vista anche stilistico, si può comprendere integralmente o in parte, il significato dell’opera in questione.

È questo il motivo per il quale ad ogni manoscritto erano aggiunte quelle che sono chiamate “annotazioni”, le cosiddette chiose, per essere precisi, che aiutano nella comprensione del testo, chiarendo parti o frasi ivi contenute.

In questo caso, il “Codice filippino”, ossia il manoscritto meridionale della Divina Commedia o Comedia per esser precisi, può essere considerato un vero e proprio organismo polivalente, legato anche al rapporto che intercorre tra testo e chiose, che a volte sostituiscono le parole stesse.

Un elemento da sottolineare è che grazie all’importanza dello studio di codici come le “Chiose filippine” è possibile avvicinarsi culturalmente ad un’epoca lontana. 

Da ciò viene fuori l’identità storica ma anche linguistica e sociale della Napoli angioina non solo attraverso i libri di Storia, ma attraverso i suoi stessi prodotti letterari.