Continuano gli scontri a Bengasi tra gli uomini di Khalifa Haftar e le milizie integraliste islamiche. Dopo l’ennesima crisi, il governo di Tripoli accusa Haftar di lavorare per mettere in piedi un colpo di stato; e intanto le forze armate chiudono i cieli sopra la Libia orientale, considerata il cuore pulsante della zona petrolifera. Timidamente riaprono alcune delle atttività commerciali chiuse a causa degli scontri.
Le violenze di Bengasi hanno causato già circa 80 vittime, mentre la lista dei feriti sfiora le 150 unità. Una chiara dimostrazione di quanto sia precario il potere del governo legittimo dopo la caduta e l’uccisione di Moammar Gheddafi nel 2011.
Il governo centrale ha lanciato un monito ad Haftar: “deponga le armi, smetta la violenza a Bengasi, usata solo per ottenere vantaggi personali o per rivoltarsi contro la legittimità dello stato”.
Bengasi, che fu il cuore della rivoluzione contro il regime di Gheddafi, è una cittadina dilaniata delle guerre di potere. Dopo la caduta del rais, il potere è finito nelle mani delle milizie formate dagli ex ribelli. Haftar, che non riconosce la legittimità del governo, ha indetto una personale battaglia per debellare le milizie islamiche e riportare l’ordine nella cittadina libica.
L’ex generale Haftar ha dichiarato: “questo è l’inizio di una battaglia nazionale. Non è un colpo di stato, non è una lotta per il potere”, accusando poi le milizie armate di aver costretto il suo movimento all’uso delle armi.
Intanto il governo legittimo, con una dichiarazione congiunta del premier, del presidente del Parlamento e del capo delle forze armate, ha lanciato un monito ad Haftar affinché deponga le armi, invitando quindi la popolazione di Bengasi a non lasciare la cittadina e anzi proteggerla.
La lotta dell’ex generale contro le milizie però continua. Nonostante le dichiarazioni del governo centrale, un portavoce di Haftar ha invitato gli abitanti di diversi quartieri di Bengasi a lasciare le proprie abitazioni per non essere coinvolti nei combattimenti. Secondo indiscrezioni, lo stesso avvertimento sarebbe stato lanciato ai cittadini da parte di una milizia islamica.
Una scia di sangue e violenza quella che ha segnato la città libica negli ultimi due anni, con oltre 200 vittime che ricoprivano incarichi nel settore della polizia, dell’amministrazione pubblica, della magistratura e della politica.