L’essere umano è naturalmente votato alla relazione. Tutti prima o poi sentono il bisogno di unirsi ad un’altra persona e questo legame può portare ad un rapporto sentimentale, ad un’amicizia o una conoscenza. Da dove ha origine questo bisogno? Quale vuoto si cerca di colmare compensandolo con una presenza esterna a noi? Quali sono i motivi per cui l’uomo non si basta da solo? E cosa determina la fine di una relazione, che sia essa familiare, sentimentale o anche solo una semplice amicizia?
A queste domande si può rispondere facendo riferimento ad una interessante teoria creata da Hal e Sidra Stone, gli ideatori del Voice Dialogue e della Psicologia dei sé. Facendo riferimento alla loro personale esperienza e a ciò che hanno sperimentato su sé stessi nel loro rapporto di coppia e poi osservando anche il modo in cui interagivano con i loro figli oppure con amici, parenti e conoscenti, hanno ipotizzato che in ogni tipo di rapporto umano si crei un particolare legame inconscio chiamato “dinamica di vincolo.”
Per comprenderla bisogna tornare un attimino indietro per spiegare alcuni principi basilari della psicologia dei sé. Essa è caratterizzata dall’assunto che la personalità di un individuo non è monolitica, ma è formata da tante parti, o sé, per cui all’interno di ogni individuo convivono varie voci, tra le più disparate. Dentro di noi abbiamo tutto e il “contrario” di tutto, nel senso che ad ogni parte predominante, che ci caratterizza e portiamo comunemente nel mondo, corrisponde il suo esatto contrario, anch’esso presente nella nostra personalità. Questi ultimi rappresentano i sé rinnegati, che vanno a costituire la nostra ombra, o parte oscura, come la chiamerebbe Jung. Il motivo per cui alcuni sé sono “primari” ed altri “rinnegati” è dovuto all’esigenza di tutelare la vulnerabilità della parte più antica, presente da più tempo nel nostro animo, rappresentata dal bambino interiore. Essa è una parte estremamente fragile e feribile e quando siamo bambini tastiamo il territorio, sperimentiamo i vari sé per valutare quali siano le parti più idonee a garantirci la sopravvivenza, ovvero l’affetto e la protezione dei nostri genitori e di chi ci circonda. Quelle parti ritenute utili a questo scopo costituiranno il nostro sistema primario, che continuerà ad operare per il resto della nostra vita con lo scopo di tutelare il bambino, che continua a vivere dentro di noi anche quando diventiamo adulti.
Cosa succede quando ci innamoriamo oppure quando stringiamo un legame di amicizia particolarmente profondo? L’energia del bambino “pulsa”. Egli si sente amato, protetto, avvolto in un manto di seta caratterizzato da affetto, nutrimento emozionale, empatia, sensibilità. Vengono richiamati ricordi emotivi ancestrali, legati all’infanzia, in cui il legame coi genitori generava questo tipo di sensazioni. Ed è da questa prospettiva che guarderemo la relazione, utilizzeremo l’occhio del bambino per esplorare l’altro, il legame che ci unisce, la magia dei sentimenti che si crea nella danza del rapporto che andiamo a costruire. È come se, inconsciamente, prendessi il mio bambino interiore e lo dessi in braccio all’altro, dicendogli: “occupati di lui, della sua vulnerabilità e della sua fragilità.” Quindi inconsciamente, richiamerò nell’altro (partner, amico o familiare che sia) la parte, o sé, genitore, che svolgerà questo compito. Ovviamente l’altro farà lo stesso ed ecco che sorge la dinamica di vincolo, caratterizzata da un’alternanza di manifestazioni dei sé che si esprimono nel rapporto. Io curo la tua parte bambina ponendomi in una prospettiva genitoriale, in cambio, quando sarà il mio turno, sarai tu a rivestire il ruolo del genitore e ad occuparti del mio bambino.
Fin quando questo accordo inconscio regge e il patto rimane vivo e funzionale la dinamica di vincolo sarà “positiva”, per cui questo rapporto va avanti, si prolunga con reciproca soddisfazione perché entrambi presentano giovamento e soddisfazione dall’accudimento delle proprie vulnerabilità.
Tuttavia potrebbe succedere che l’accordo non venga rispettato. Magari le circostanze della vita portano l’altro ad essere assente per un periodo (magari per impegni di lavoro, salute precaria, imprevisti e impegni vari, un nuovo hobby a cui uno dei due si dedica con passione e dedizione, ecc.), per cui il mio bambino si sentirà trascurato, ferito, avrà paura fino a provare rancore, la mancanza sarà talmente forte da scatenare in me sentimenti negativi e infine il mio bambino vulnerabile potrebbe trasformarsi in un bambino ribelle. Quest’ultimo richiamerà nel mio partner un genitore giudicante o severo, che a sua volta farà emergere in me un genitore punitivo il quale andrà a ferire i sentimenti del bambino dell’altro membro del rapporto, il quale richiamerà il suo bambino vendicativo e così via in un circolo vizioso che conduce all’odio, alla rabbia, al rancore. La magia è finita, i ricordi positivi sono solo un ricordo lontano, sopraggiunge la sensazione di aver vissuto nell’illusione, di aver idealizzato ciò che c’è stato, ridimensionando i doni, la bellezza e le qualità di quel rapporto. Quando ciò succede, siamo in presenza di una dinamica di vincolo negativa, la cui conseguenza è la fine della relazione.
Quale soluzione si può prospettare? Le dinamiche di vincolo sembrano degli inevitabili automatismi da cui non ci si può sottrarre, appaiono quasi come degli eventi predestinati, una problematica senza alcuna soluzione. Eppure, secondo gli Stone, c’è un modo per sottrarsi ad esse, e consiste nel creare un “Io” cosciente, ossia un processo di consapevolezza interiore che permetta di riconoscere questi automatismi e in seguito di scardinarli. Quanto più siamo coscienti delle nostre vulnerabilità, o meglio di quelle del nostro bambino interiore, tanto più siamo capaci di farcene carico noi stessi, senza attribuire il compito di prendersene cura ad un altro individuo. Accolgo tra le mie braccia e accudisco il mio bambino, non quello del partner, ed egli farà altrettanto. Da qui ha inizio un’altra storia, una nuova avventura, in cui posso crescere nella relazione, vengo nutrito da essa, mi insegna, mi sostiene, dono e ricevo in un equo scambio tra due adulti, individui consapevoli, che non ricercano inconsciamente all’interno di un rapporto la dinamica padre/madre-figlio/figlia.