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sabato, 25 Marzo 2023

La violenza sulle donne: il ruolo del patriarcato

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’impennata di fenomeni di violenza domestica. Sempre più spesso si leggono notizie di soprusi e violenze sia fisiche che psicologiche ma una soluzione c'è.

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Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’impennata di fenomeni di violenza domestica. Sempre più spesso si leggono o odono notizie di soprusi e violenze sia fisiche che psicologiche ad opera di uomini nei confronti delle loro compagne. In alcuni casi le violenze possono culminare nell’omicidio della donna, premeditato o meno, perpetrato dal fidanzato, marito, compagno o amante. Uccisione giunta al culmine di un litigio, espressione di un picco di follia, un raptus che fa perdere la testa e arma la mano di chi non ha saputo catalizzare la rabbia in altro modo, oppure giunta come percorso lucido e consapevole dell’ex marito/fidanzato/compagno che non riesce ad accettare la fine della relazione e protende per la soluzione finale, un gesto categorico di punizione o vendetta per aver osato pensare o progettare una vita lontano da lui. O ancora, un gesto che può rispondere alla fredda e narcisistica logica “se non vuoi più essere mia, allora non sarai più di nessun altro”.

Un dato che rende ancora più inquietanti e agghiaccianti questi eventi è l’emersione di un ulteriore elemento che spesso emerge dall’analisi di questi casi: le donne hanno subito o subiscono per anni in silenzio questi soprusi, sopportano stoicamente le violenze domestiche a cui sono quotidianamente sottomesse, senza denunciare colui che si è trasformato in un vero e proprio aguzzino, in alcuni casi addirittura difendendolo se si giunge ad un processo, come testimoniato dal recente caso che ha visto come protagonista Ylenia Bonavera, che è giunta a negare in tribunale che il fidanzato abbia cercato di ucciderla, nonostante le prove schiaccianti a suo discapito.

Cosa spinge gli uomini a porre in essere azioni così riprovevoli e come mai le donne reagiscono con un atteggiamento così remissivo? Studi sociologici e psicologici hanno individuato innumerevoli possibili concause relative a questo fenomeno. Una delle più influenti è rappresentata dall’aspetto della società italiana che da secoli trasmette un sistema di valori orientato ad affermare la superiorità dell’uomo rispetto alla donna. Essa è stata, fin dalla notte dei tempi, sottomessa, umiliata, abusata, usata come merce di scambio, fin quando la rivoluzione culturale del ’68 ha fatto da apripista ad un ripensamento del ruolo della donna, con la conquista di alcuni diritti civili che hanno tentato di favorire una equiparazione tra le posizioni, un’equità di diritti che consentisse di andare oltre l’identità di genere. Tuttavia la corrente di pensiero che vorrebbe questa equiparazione stenta a decollare in quanto si è dovuta scontrare con le resistenze degli uomini che fanno fatica ad accettare che le donne sviluppino un’autonomia, sia materiale che di sentimenti. Sembra che il maschio moderno non voglia lasciare andare un retaggio culturale millenario che ha visto l’affermazione della sua supremazia. Ma questa resistenza è stata riscontrata anche in coloro che avrebbero dovuto beneficiare di questo cambiamento socioculturale, ovvero le donne. Ogni cambiamento fa paura, la libertà e autonomia possono essere inquietanti perché presuppongono un’assunzione di responsabilità. Un coraggio che non è cosi scontato avere. È più facile lasciarsi andare, subire e sopportare stoicamente può essere più facile e meno faticoso che accettare ed abbracciare il cambiamento.

Esiste un modello psicoterapeutico chiamato Voice Dialogue, ideato da due psicoterapeuti americani, Hal e Sidra Stone. Secondo loro, la psiche umana non è monolitica ma frammentata in tante parti, o sè. Ci identifichiamo in ciascuna di esse a seconda del contesto in cui operiamo, così potremo avere il sé gentile, il perfezionista, il responsabile, l’attivista. Uno di questi sé è il patriarca, che è quella parte che difende i valori del maschile, portatore dei valori di superiorità dell’uomo rispetto alla donna. Questo sé appartiene agli individui al di là dell’identità di genere, può appartenere sia agli uomini che alle donne, in cui opera in maniera sottile ed inconscia. Formatosi attraverso un sistema di valori trasmesso dalla famiglia di riferimento, il patriarca farà sentire la donna inadeguata, la spingerà ad accettare passivamente il suo destino di sottomissione e sopportazione, manifestandosi e trasmettendo il suo messaggio anche attraverso altre donne che proteggeranno questo sistema di idee. Madri, sorelle ed amiche che alimentano queste convinzioni e certi comportamenti remissivi. “Dio te l’ha dato e il tuo compito è sopportarlo” “è la tua croce, devi resistere e sopportare, non puoi farci niente”, “noi donne dobbiamo solo ubbidire e pregare”. Le donne che sopportano le violenze sentono spesso ripetere queste frasi negli ambienti familiari, che vanno ad alimentare l’inconscio meccanismo di mortificazione e autopunizione generato dal Patriarca.

Una soluzione però c’è. Secondo gli Stone riconoscere il proprio patriarca interiore, capire da dove viene, come si è formato e a chi si è ispirato è un primo passo verso la liberazione. Una libertà dal giudizio verso sé stesse e le altre donne che passa dalla consapevole accettazione di essere “anche” questo. Accogliere il proprio patriarca e i valori di cui è portatore. Questa accettazione, l’accoglimento di una parte scomoda dentro di noi, può avere un effetto liberatorio. Jung diceva che dentro di noi abbiamo un’ombra, un tipo molto brutto, sporco e cattivo, che dobbiamo accettare. Liberare quell’energia psichica, per poi lasciarla andare.

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