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La rivolta di Masaniello a Napoli contro le tasse

Il 7 luglio 1647 una protesta a Napoli contro una tassa sulla frutta fresca da parte sia del popolo (professionisti e artigiani non nobili) che della plebe della città si estese alle province rurali. La protesta ha avviato 10 giorni di rivolta contro i pesanti fardelli fiscali che erano state imposte alla città ed al regno come risultato della guerra dei Trent’anni (1618 – 1648), il governo feudale e oligarchico delle elite locali, e la monarchica governo di Spagna.

La rivolta di Masaniello “viva ‘o Re ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno”

Nei primi giorni della rivolta furono bruciate le case dei finanzieri, degli esattori delle tasse e dei nobili. Milizie di quartiere armati hanno preso il controllo della città sotto la guida carismatica di un pescivendolo di nome Masaniello (Tomaso Aniello d’Amalfi) ed il suo alleato intellettuale, un avvocato ottantenne di nome Giulio Genoino, che nel 1619 – 1620, aveva provato a condurre una riforma costituzionale a Napoli, la riforma non ebbe buon vita.

Quel 7 luglio la popolazione napoletana insorge contro l’insostenibile pressione fiscale del viceré spagnolo.

La rivolta dureranno qualche giorno e si concluderanno in modo del tutto inaspettato.

Al grido di “viva ‘o Re ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno”, Masaniello e tutti i rivoltosi costringono il viceré alla fuga. Ottengono subito l’abolizione di molte gabelle ed il riconoscimento di un antico privilegio con cui Carlo V conferiva al popolo napoletano una rappresentanza uguale a quella dei nobili, sostanzialmente un’equa ripartizione delle tasse tra le diverse classi sociali.

Quindi la rivolta ebbe fine soli dieci giorni, si conclude così il “regno” di Masaniello.

Napoli nel 1647

Il contesto storico in cui è collocata la rivolta di Masaniello dell’estate 1647 a Napoli è costituito da una diffusa crisi materiale e sociale. A livello europeo, sono in atto le ultime battute della sanguinosissima Guerra dei trent’anni, che ha provocatp agitazioni e rivolte in molte aree europee.

Napoli, insieme agli altri territori governati dagli spagnoli, è ridotta alla fame per l’enorme pressione fiscale alla quale viene sottoposta. La città è in quel momento un’affollatissima metropoli di circa mezzo milione di abitanti, che ha perso il proprio status.

Poco più di un sesto dei napoletani possiede un’occupazione stabile e si tratta prevalentemente di pescatori, artigiani, commercianti, avvocati e altri professionisti. La grande nobiltà, composta da meno di mille famiglie, vive di rendita, mentre qualche esponente della nobiltà minore occupa incarichi pubblici e amministrativi.