Secondo una recente indagine, il 57, 3% dei ragazzi iscritti ai corsi tecnici hanno trovato lavoro per un periodo più o meno lungo e con un contratto che va dai sei mesi ai tre anni. Sono un mix tra università, aziende e scuole, il cui fine è formare i ragazzi in venti diversi ambiti: tecnici dell’informatica medica, manifattura e artigianato, turismo, sport, cultura, esperti di amministrazione finanziaria, progettisti e così via, per offrire le competenze necessarie per una buona collocazione lavorativa stabile all’interno della società.
Percorsi per l’istruzione e la formazione tecnica superiore, istituiti nel 1999 per “insegnare mestieri”, con la durata di un minimo di 800 e un massimo di 1000 ore che vengono divise in 2 semestri e includono uno stage che deve coprire almeno il 30% del percorso di studi. L’organizzazione è regionale, ma l’accesso è aperto a tutti: dai laureati, ai lavoratori senza titoli d’istruzione, fino agli stranieri che vogliono inserirsi in una realtà nuova e diversa da quella a cui sono abituati.
Non vi sono costi aggiuntivi, al di fuori del versamento di una quota d’iscrizione che è a discrezione della regione d’appartenenza. Le proposte di contrattualizzazione scattano soprattutto per giovani e giovanissimi, per una fascia che va dai 17 ai 25 anni d’età.
Ad essere insegnato, secondo Benedetta Torchia, autrice dell’indagine, è “un sapere pratico, ma pur sempre sapere”. Si tratta di un ‘nuovo’ tipo di cultura quindi, quella del futuro, che probabilmente permetterà alle giovani generazioni una diminuzione del precariato e un aumento della ripresa di lavori che da qualche anno sono stati messi da parte.