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Insegnamento di religione: concorsi e prospettive

Di qualche giorno fa le parole del professor Nicola Incampo, personalità autorevole del mondo dell’insegnamento della religione all’interno delle scuole, sulla riforma che bloccò per il 2017 e di cui ancora si parla per quanto riguarda l’ora di religione e il percorso per diventare insegnante di ruolo.

Al centro dell’attenzione il concorso IRC – quello che è stata definito una vera e propria “lotta per la giustizia” – per il quale “si volevano mettere nel pentolone precari e neolaureati”, definito dal Incampo “disumano”. Ecco perché: “Noi nel 2017 abbiamo corso il rischio di avere un concorso che non tenesse conto dell’idoneità, e il nostro è un insegnamento atipico dove la forza del nostro insegnamento è l’idoneità (…) che per noi è abilitazione, lo è stata per il pagamento degli insegnanti, lo è stata per il primo concorso dell’insegnante di religione, e adesso non è più abilitazione perché a qualcuno non piace che l’idoneità sia abilitazione.

Io ho partecipato alle trattative del concorso 2017, e a fine dicembre mi alzai, non firmai quell’accordo perché vedevo proprio disumano e se volete anticostituzionale che si potesse fare un concorso dove non veniva riconosciuta all’insegnante di religione l’idoneità (…) Creavamo un ambiente dove lo stato poteva parlare non più di religione cattolica ma di storia delle religioni. La seconda ricaduta era tecnica, sull’insegnante. Oggi l’insegnante che sta nel famoso 30%, nominato per incarico annuale, dopo 4 anni di servizio gode dei benefici dell’insegnante di ruolo.

Ebbene con questa procedura concorsuale gli insegnanti sarebbero diventati tutti supplenti annuali e avrebbero perso dei benefici, tutti i benefici. Allora io nel 2017 feci saltare questo accorso. (…) Poi nella legge finanziaria del 2017 esce come un fungo il concorso dell’insegnante di religione, ed esce sempre con l’obiettivo primario di cacciare dalla scuola gli insegnanti di religione con più anni di servizio (…)

La buona scuola dice che gli insegnanti abilitati diventano di ruolo con un percorso preciso, noi abbiamo chiesto che si rispetti, mentre si continua a chiedere un concorso ordinario dove si dovrà verificare anche il contenuto di religione, quindi mettendo sotto i piedi l’idoneità, e soprattutto non valorizzando gli anni di servizio (…)

Oggi stiamo riuscendo nel miracolo, cioè a far capire a chi di dovere che in questo momento la priorità non è il concorso ma è il tenere l’ora di religione a scuola. Più è forte l’ora di religione più forte è l’insegnante e non il contrario. Non bisogna vedere il concorso come un salvadanaio per chiedere soldi agli insegnanti per fare corsi di aggiornamento, ma bisogna vederlo come funzionale all’immissione in ruolo”.

E proprio un concorso inteso come funzionale all’immissione in ruolo sembra che in questo momento non sia tra quelle che sono le priorità, soprattutto laddove nella pratica ci sarebbe effettivamente maggiore bisogno di una nuova gara, come nel caso della Lombardia, che però al momento sembra necessitare invece più semplicemente di quella che è la funzione dell’ora e quindi dell’insegnamento di religione, anziché di una diversa riorganizzazione dei ruoli all’interno del medesimo settore. Soprattutto in un momento come questo in cui si è reduci da tanta sofferenza ed un’insofferenza causata proprio da una non normalità.

“Il 93% degli insegnanti di ruolo ha più di tre anni di servizio, questa legge vorrebbe mettere in ruolo chi ha meno anni di servizio, ecco perché dico che si tratti di una norma disumana (…)

Io approfitto per dire che gli insegnanti di religione tutti gli anni subiscono un referendum e tutti gli anni gli studenti chiedono di avvalersi di questa disciplina, anche se questa disciplina viene messa alla prima e all’ultima ora (…) secondo me questi insegnanti andrebbero premiati, non mandati a casa”.

Sembra in effetti che sia sempre un buon momento per mettere in discussione l’importanza dell’insegnamento di religione all’interno della scuola, un po’ come a rappresentare una metafora della vita: si conserva un’idea di religione alla quale si crede probabilmente di appartenere, poi alla prima occasione emerga un buon motivo per metterla in discussione lo si fa, ma solo se in tutto questo possa esserci una convenienza. Il meccanismo è un po’ lo stesso.

Ma la religione ha sempre rappresentato all’interno del sistema in qualche modo uno strumento, oggi per una cosa domani per l’altra, per ponderare equilibri diversi rispetto a quelli più intimi e di ricongiunzione spirituale. Quello che accade nella società – come anche spesso tra l’io e l’io più timido che si nasconde dietro una falsa coscienza – è che la religione diventi una sorta di ammortizzatore di tensioni, “utilizzata” in diversi modi anche da chi poco ha avuto a che fare veramente con l’idea di una realtà trascendentale, finendo per perdere la sua più autentica funzione: probabilmente quella di aiutare l’individuo a ricongiungere sé stesso attraverso un percorso di conoscenza e auto-consapevolezza della vita.

Il tema religioso è qualcosa su cui ci si è tornati a soffermare anche durante il periodo della quarantena in Italia, attraverso quelle domande importanti che toccano un numero più ampio di anime quando si hanno d’avanti agli occhi realtà poco facili da accettare razionalmente. E come sempre, attraverso questo misterioso e mai troppo antico fenomeno, si spostano gli assi dentro e fuori, contribuendo di conseguenza anche ad un avvicinamento o ad un allontanamento degli individui nei confronti delle istituzioni che operano in diversi modi “sul campo”.

Una religione per l’ordine sociale

“Ma la religione cristiana ha anche un altro importante compito nei confronti della realtà sociale: quello di spingere l’azione sociopolitica nella direzione di un costante rinnovamento. L’apertura di senso offerto dalla religione, in quanto proiettata verso la trascendenza, mette costantemente sotto processo l’ordine sociale, orientando la storia verso il futuro. Il rispetto profondo dell’autonomia dell’analisi sociopolitica si associa alla tensione al superamento di ogni schematismo riduttivo e la capacità di relativizzare tutte le posizioni ideologiche, le soluzioni tecniche e i progetti storici”.

Queste le parole del professor Giannino Piana della Libera Università di Urbino e dell’Università di Torino, riportate l’anno scorso su Oikonomia. Si tratta di un’analisi circa quelle che sono le dinamiche che si sono susseguite nel tempo tra religione, scienza, politica e società. Un viaggio nel tempo che vede prima la religione come al centro di ogni cosa, poi guarda ad una società che diviene dopo l’illuminismo in qualche modo laica, sino ad arrivare ai nostri giorni (o quasi) in cui la religione abbia per lo più un ruolo bilancia, che miri a preservare un equilibrio di natura morale. Accade nei tempi moderni che etica e giustizia si prestano come contenitori universali di diversi approcci e culture, per la formazione di un sistema delle cose che sia quanto più possibile equo.

Un aspetto curioso della questione sopra riportata e che viene associato anche all’insegnamento di religione (analizzato dal professor Piana) è quello riguardante un riavvicinamento nel tempo, soprattutto nell’ultimo secolo, da parte della società – intesa sia nella sua componente istituzionale che nella sua componente “dal basso” – nei confronti della religione cattolica più come strumento di difesa verso culture diverse e sempre più diffuse come quella dell’islamismo, che nella percezione comune possano in qualche modo rappresentare una minaccia per i paesi occidentali.

Ma si tratta solo di una delle molteplici possibili considerazioni, in merito ad una realtà che è in continuo movimento e non sempre può essere raccontata all’interno di determinati schemi. L’individuo ha sempre un maggiore bisogno di comprendere il senso delle cose e questo certamente determinerà ogni volta un comportamento diverso dei gruppi sociali ed istituzionali che dovranno tenere conto di tutto questo, e a loro volta cambiare. Significherà probabilmente ridefinire meccanismi di partecipazione, e riconoscere in qualche modo la “privatizzazione” della religione, vissuta sempre di più con la propria intimità e con maggiore consapevolezza, il sempre più singolare modo di partecipare ed essere all’interno di un sistema di scambi con il prossimo.

Ma questa è una lunga storia!

Gilda Caccavale
Gilda Caccavale
1996 - Laureata e specializzanda in scienze politiche. Da sempre appassionata di scrittura nella sua potenzialità di condividere e trasferire sottili intuizioni e prospettive, o irripetibili combinazioni dell'essere. Fermare la "visione" significa assistere l'evoluzione, e m'illumina d'immenso!