Il tormento artistico di Caravaggio: un artista tormentato, dalla vita inquieta e rocambolesca, costellata di viaggi, fughe, risse, condanne. Ma la sua figura artistica ha continuato ad esserlo anche dopo la sua morte, prima dimenticato dagli storici dell’arte per almeno due secoli, poi osannato come uno dei più grandi talenti di tutti i tempi. Per non parlare delle sue opere, molte delle quali oggetto di furti, errate o mancate attribuzioni, sparizioni e ritrovamenti.
La Fondazione Banco di Napoli ospita nella sede di Palazzo Ricca in via Tribunali, fino al 16 Giugno 2024, come ideale prosecuzione della precedente mostra tenutasi al Palazzo Chigi di Ariccia, un capolavoro praticamente sconosciuto al grande pubblico: la Presa di Cristo, esposto nel 1951 alla storica Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi tenuta presso il Palazzo Reale di Milano a cura di Roberto Longhi, che tuttavia, dopo averla ritrovata nel 1943 nella Collezione Ruffo di Calabria, l’aveva presentata come eccellente copia dell’opera originale.
All’epoca peraltro il dipinto si presentava sporco e tappezzato di numerose ridipinture, rimosse dopo il recente accurato restauro. Le indagini radiografiche cui è stato sottoposto ne hanno evidenziato numerosi cambiamenti in corso d’opera, il che secondo parte della critica ne avvalora l’autenticità, riconosciuta sin dalla sua ricomparsa nel 2003, a seguito della quale è stata riconosciuta con Decreto del 2 dicembre 2004 del Ministero dei Beni Culturali come opera di particolare interesse, anche al fine di scongiurarne l’eventuale vendita all’estero.
Il tormento artistico di Caravaggio
Il dipinto in questione, appartenente al periodo romano di Caravaggio, è sempre appartenuto a privati, sin dal 1603 quando entrò nella collezione del committente Ciriaco Mattei, e poi in altre importanti collezioni nobiliari (Colonna di Stigliano, a Napoli almeno fino al 1830, e ancora Ruffo di Calabria).
Tuttavia, considerando che esistono varie copie e versioni, sia riconosciute unanimemente come originali (vedi quella appartenuta alla Compagnia dei Gesuiti di Dublino, dal 1993 presso la National Gallery of Ireland) e sia come presunte, l’opera in mostra prima ad Ariccia e attualmente a Napoli viene ritenuta dai curatori addirittura come la prima versione, cui le successive si sarebbero ispirate.
Eppure non tutti condividono quest’ipotesi, anzi ritengono esattamente il contrario, trattandosi secondo questi critici di un frutto riuscito dell’attività di un copista.
Non è certo questa la sede adatta per addentrarsi nel merito delle questioni sollevate dalla critica, che lasciamo agli addetti ai lavori.Una cosa però è certa.
L’impatto col dipinto, grazie anche alla sapiente collocazione scenografica nel buio della sala che la ospita e al fascio di luce che la inquadra, che ricorda quello presente in tanti dipinti dell’artista, è di fortissimo impatto.
Chi la osserva non pensa certo alle lunghe disquisizioni storico-artistiche sottese a questa splendida tela, ma entra immediatamente, grazie anche all’intenso pathos che la tela emana, nello spirito tormentato dell’artista Caravaggio. Che ancora oggi, a distanza di oltre quattro secoli dalla sua scomparsa, trasmette al pubblico la stessa inquietudine e lo stesso tormento che avrebbero caratterizzato la sua breve ma intensa vita, come uomo e come artista.