Secondo presunti “esperti” ieri, lunedì 19 gennaio, sarebbe dovuto essere il cosiddetto Blue Monday, ossia il giorno più triste dell’anno (“blue” in inglese, oltre ad indire un colore, vuol dire anche triste o depresso), che secondi elaborati studi si presenta ogni terzo lunedì di gennaio. Ma siamo sicuro che sia davvero così? O meglio, siamo sicuri che davvero qualche scienziato si sia preso la briga di analizzare quale sia il giorno più triste dell’anno? Certo, in rete girano migliaia di storie incredibili, una più assurda dell’altra, tuttavia vere. Non stavolta però, perché il presunto Blue Monday è tutta una bufala.

In effetti nulla vieta che ieri per molti possa essere stato il giorno più triste dell’anno. Qualcuno, ad esempio, potrà ricordare a vita la giornata di ieri per lo spiacevole susseguirsi di catastrofici eventi. Esiste tuttavia un briciolo di appiglio scientifico a questo maledetto Blue Monday? La risposta è no! Stando ai “dati ufficiali”, sarebbe stato possibile identificare il giorno peggiore dell’anno in base a fattori matematici quali il meteo, i debiti, i giorni che ci separano dal Natale, il salario mensile, il tempo trascorso dalla presa di coscienza che i nostri propositi di fine anno sono già miseramente falliti, ecc. Come si può intuire, sono tutti elementi presi abbastanza arbitrariamente, per non parlare poi dei criteri e dei parametri con in cui andrebbero misurati. Voi riuscireste a mettere su un asse cartesiano XY un valore che indichi la vostra tristezza in base ai giorni che ci separano dal Natale? Come potrebbe poi farlo un buddista o un musulmano?

A chiudere definitivamente la questione ci ha pensato quindi il Guardian. Stando alle indagini del quotidiano inglese, tutto ebbe inizio nel 2005 quando un certo Cliff Arnall, ricercatore dell’università di Cardiff, avrebbe creato un algoritmo in grado di calcolare il giorno più triste dell’anno basandosi sui fattori sopra esposti. Lo studio sarebbe stato commissionato da un tour operator intenzionato a capire in quale periodo le persone fossero più propense a prenotare una vacanza. L’università di Cardiff naturalmente prese subito le distanze da Arnall e dal suo comunicato stampa in cui annunciava la rivoluzionaria scoperta, ma questo non bastò ad arginare la diffusione di questa bufala.
Sono state diverse le testate giornaliste italiane, anche di primo piano, a credere davvero nell’esistenza di questo presunto tristissimo giorno. Eppure solitamente queste bufale, una volta scoperte e smascherate, cessano di circolare per la rete avendo perso il loro appeal (o forse sarebbe meglio dire la loro “viralità”, ossia la forza di propagarsi). Lo storia del Blue Monday invece, ogni anno, come dicono gli “esperti”, riciccia fuori senza che nessuno si prenda la briga di andare a vedere le fonti a cui fanno riferimento gli articoli che ne parlano, oppure di indagare più a fondo sui presunti cervelloni che avrebbero, almeno in teoria, partorito questo colpo di genio.

E’ una storia trita e ritrita oramai quella delle bufale online. Certo, sapere che un lunedì sarà più o meno triste degli altri lunedì di certo non ci cambierà la vita e uno volta scoperto l’inganno avremo solo un’altra simpatica storiella da raccontare ai nostri amici, vantandoci così di non essere cascati nell’ennesimo tranello che la Rete è sempre pronta a tenderci. Dire però che la colpa sia genericamente della Rete e che tutto ciò sia fisiologico all’interno dell’immenso contenitore che è il web, è abbastanza riduttivo.
Di chi è quindi la colpa? Sicuramente di tutte le testate giornalistiche che abboccano con troppa facilità a queste trappole. La notizia del Blue Monday è in effetti, per molti giornalisti, troppo succosa per lasciarsela sfuggire e così negli anni molti professionisti (o presunti tali) hanno buttato giù diverse righe sull’argomento, sicuri di ottenere un riscontro positivo in termini di visualizzazioni/letture/visite da parte dei lettori. A molti potrà sembrare assurdo, ma queste notizie, soprattutto online, risultano spesso essere le più lette in assoluto. Di certo la colpa non potrà essere attribuita ai tanti internauti che si affidano alle parole e all’esperienza delle più rinomate testate giornalistiche, per le quali sarebbe davvero arrivato il momento di iniziare a controllare meglio le proprie fonti per non tradire più la fiducia di migliaia di lettori sparsi per il Web.