6 agosto 1945. Oggi il mondo ricorda l’evento che 70 anni fa cambiò per sempre la storia recente dell’umanità, conoscendo la potenza devastante del primo ordigno nucleare sganciato dagli Stati Uniti sulla città giapponese. Ma ad appena 2 km dall’epicentro della spaventosa deflagrazione, un piccolo albero, protetto dal muro del vivaio nel quale si trovava, ne uscì completamente illeso.

Un simbolo di speranza, di forza contro qualsiasi avversità. Sono 390 anni che il Bonsai centenario, sopravvissuto al bombardamento atomico su Hiroshima, è testimone silenzioso della morte di migliaia e migliaia di persone. Il piccolo arbusto di cose ne ha viste parecchie: dalla Rivoluzione Francese alla Guerra di Indipendenza Americana, dal primo uomo sulla luna alla caduta del muro di Berlino. “Hiroshima survivor”, questo il nome del piccolo Bonsai, racchiude in se gli ultimi 4 secoli di storia del mondo: custodito dalla famiglia giapponese Yamaki per cinque generazioni, nel 1976 fu donato agli Stati Uniti in occasione del bicentenario Usa-Giappone. Il National Geographic racconta che il piccolo pino bianco, piantato nel lontano 1626, è rimasto indenne a radiazioni, detriti e schegge dell’esplosione atomica del 6 agosto del 1945.

Kathleen Emerson-Dell, che ha l’incarico di curare il Bonsai all’interno dell’Arboreto Nazionale di Washington, dichiara che “Il dono non ha nulla a che vedere con Hiroshima, fu un gesto di amicizia e legame tra due culture molto diverse”. Difatti il legame con la triste vicenda della seconda guerra mondiale restò oscuro sino al 2001, quando due nipoti di Yamaki, si recarono nella capitale americana per visitare la creatura del nonno. Da allora, la speciale e tenace testimonianza arborea non ha più nascosto le origini. Oggi questo “anziano” Bonsai, custodito al National Bonsai&Penjing Museum di Washington D.C., è uno degli esemplari più amati e visitati dai turisti. La stessa Kathleen, emozionata, racconta quanto sia speciale questo Bonsai: “La sua presenza qui simboleggia la celebrazione della vita Quando lo accarezzo mi sembra di toccare con mano la storia”.